Cina, guerra per i posti di potere il partito silura l’erede di Mao

Loading

PECHINO – Mercoledì, chiudendo la sua ultima Assemblea nazionale del popolo nelle vesti di premier, Wen Jiabao ha lanciato l’allarme sulla Cina. «Senza profonde riforme politiche ed economiche – ha detto – rischiamo la tragedia di un’altra Rivoluzione Culturale». Poche ore dopo, l’agenzia di stampa Xinhua, ha emesso un comunicato di una riga: il segretario del partito di Chongqing, Bo Xilai, «è stato dimesso dall’incarico per decisione del comitato centrale» e alla guida della metropoli-regione «è stato nominato il vice primo ministro Zhang Dejiang», scuola Corea del Nord. 
Si è consumata così a Pechino l’epurazione politica più clamorosa dopo il massacro del 1989 in piazza Tienanmen. La popolazione ieri è rimasta all’oscuro dell’epilogo del primo scontro nella lotta per la successione alla leadership del partito comunista e del Paese, prevista tra l’autunno e la primavera del 2013. Nessuna notizia sulla tivù di Stato. Nei palazzi del potere invece è scoppiata una bomba. A impressionare il mistero che da ieri avvolge Bo Xilai. Quando un papavero del partito cambia ruolo, il politburo indica il nuovo ruolo dell’interessato. Ieri invece non è accaduto. Ciò ha indotto gli analisti cinesi a prevedere che Bo Xilai possa essere presto incriminato, magari arrestato e condannato ad un periodo di “rieducazione”.
A Bo Xilai, ufficialmente, è stato fatale lo “scandalo di Chengdu”. Il 6 febbraio il suo ex braccio destro, Wang Lijun, è fuggito da Chongqing e per due giorni si è rifugiato nel consolato Usa, chiedendo asilo politico. Pochi giorni prima era stato licenziato da capo della polizia e degradato a vice-sindaco dallo stesso Bo Xilai. Wang Lijun si è infine consegnato ai servizi segreti inviati da Pechino che proteggendolo lo hanno messo sotto inchiesta. La sua scomparsa per “una vacanza terapeutica”, nel corso della quale avrebbe accusato Bo Xilai di corruzione e di collusione con la criminalità , è stata indirettamente spiegata ieri. Anche Wang Lijun è stato «rimosso da ogni incarico», mentre un’analoga “terapia curativa” è stata concessa al suo popolarissimo ex mentore, profeta della riscoperta nazionale di inni, riti, dogmi e princìpi maoisti.
In apparenza l’ala riformista legata a Wen Jiabao e al governatore del Guangdong Wang Yang ha inferto un colpo mortale alla sinistra conservatrice, sostenuta da militari e comunisti radicali. Sotto la superficie si agita però un magma indistinto. I cinesi pensano che il riformismo di Wen Jiabao sia in realtà  una finzione e prendono atto che dopo le teste dei dissidenti cominciano a volare anche quelle di leader considerati «intoccabili». Bo Xilai era il primo di questi. Figlio di uno dei compagni rivoluzionari di Mao, come il prossimo presidente Xi Jinping, è un “principe rosso” convertito alla politica-spettacolo. Bello, disinvolto, elegante, cultore dei media e della propria immagine, si era auto-candidato al vertice del partito attraverso una sorta di inedite primarie auto-gestite. La gente fino a ieri lo adorava, ma per i tecnocrati di Pechino era troppo “americano”. Mercati finanziari e funzionari politici hanno sfruttato il populismo di Bo Xilai, ma alla stretta finale si sono uniti nel bloccare una figura che, promettendo di resuscitare Mao, minacciava l’unità  del partito. Da ieri in Cina la sola incertezza non incrinata è la successione di Xi Jinping a Hu Jintao e di Li Keqiang a Wen Jiabao. Le posizioni che più contano nel potere tornano in gioco. La sinistra del partito, sacrificato Bo Xilai, pretenderà  un risarcimento. Moderati e riformisti, tra cui Xi Jinping e Li Keqiang, saranno costretti a dolorose rinunce.


Related Articles

Via la tredicesima. Scontri a Madrid

Loading

Mega stangata del governo Rajoy. Minatori e indignados in piazza: 76 feriti

Crepe sull’asse Washington-Riad

Loading

L’intesa politica tra Washington e Riad che per decenni ha gestito l’equilibrio della vasta regione araba che costituisce il centro di gravità  geostrategico ed energetico del Vicino e del Medio Oriente, mostra pericolose incrinature.

La Bomba coreana fa tremare l’Asia I dubbi dell’America sull’annuncio

Loading

La Casa Bianca: «Non ci sono prove che sia un ordigno termonucleare». L’Onu rafforza le sanzioni. Ci vorranno settimane per verificare se si sia trattato davvero di una Bomba H. 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment