Corruzione, Leggi Efficaci e lo Sguardo un po’ Lungo

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Ma nessuna riforma colpirà  il bersaglio senza uno sguardo lungo, senza correggere un difetto di miopia. Che in Italia, oggi come ieri, ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. La nuova maggioranza medita d’abrogare il reato di concussione? Apriti cielo: vogliono salvare il vecchio premier dal processo Ruby, attraverso l’ennesima legge ad personam. Quindi inciucio, baratto, tradimento. Tanto che il Pd ritira in fretta e furia l’emendamento Ferranti, che viaggiava nella stessa direzione. Ma non è un singolo giudizio il fardello che da troppo tempo ci portiamo sul groppone. È l’illegalità  diffusa, è la corruzione che dissangua l’economia italiana (60 miliardi l’anno, secondo la Corte dei conti) e indebolisce l’etica pubblica (l’ultima classifica di Transparency International ci situa al 69º posto, peggio di Portorico e del Ruanda). Dunque è con questi occhiali che dobbiamo guardare la riforma. E d’altra parte non è che se un provvedimento (la soppressione della concussione) va bene all’imputato Berlusconi, allora deve per forza andar male a tutti gli altri. Così come un provvedimento sbagliato del governo Berlusconi (il disegno di legge sulle intercettazioni) non diventa di colpo sacrosanto se lo benedice Monti. Altrimenti seguiteremo a comportarci da tifosi, senza cavare mai un ragno dal buco.
Quanto alla concussione, non è affatto vero che abolendo l’articolo 317 del Codice penale andremmo al «tana libera tutti». Da 12 anni ce lo chiede l’Ocse, ma per la ragione opposta: perché fin qui il concusso (di regola, un imprenditore) la faceva franca, apparendo al cospetto della legge italiana come vittima, anziché come complice e beneficiario del reato. E infatti l’accordo di maggioranza tende ad allargare la sfera dei comportamenti penalmente rilevanti, non a restringerla. Confeziona due nuovi reati (corruzione privata e traffico d’influenza), offrendo un presidio normativo al valore costituzionale della concorrenza, oltre che a un principio di lealtà . Per intendersi: se oggi pago una mazzetta al manager d’una fabbrica di scarpe in cambio dell’esclusiva sulla vendita, rischierò al massimo una causa civile di risarcimento verso i proprietari dell’azienda; con la riforma, viceversa, sia io che il manager finiamo dritti davanti al giudice penale. E se invece c’è di mezzo un’amministrazione pubblica? Niente concussione, ma potranno farne le veci l’estorsione aggravata o la corruzione allargata. Cambia insomma la parola, non la cosa. Anzi: aumentano le pene edittali.
Poi, certo, ci sarà  da vigilare. Quando il governo metterà  nero su bianco la riforma complessiva, dovremo valutare per esempio se il principio di responsabilità  possa finalmente declinarsi pure per i giudici, che fin qui ne sono stati immuni; ma senza compromettere la loro indipendenza. Dovremo misurare lo spazio della libertà  di stampa dopo la stretta sulle intercettazioni. Dovremo infine controllare che questa miscela normativa contenga una bella purga sulle prescrizioni: negli ultimi tre lustri sono triplicate, toccando nel 2011 il record europeo di 180 mila processi andati in fumo. Un falò che brucia 80 milioni l’anno, ma soprattutto manda in fiamme il nostro senso di giustizia. È di questo, non d’un singolo processo, che ora dobbiamo occuparci.


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