Cuba, processione di «rossi» che sperano di vedere il Papa

by Editore | 26 Marzo 2012 7:45

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L’AVANA — C’era una volta, non troppo tempo fa in Venezuela, una gerarchia cattolica «tumore da estirpare», e un cardinale che altro non era se non «un diavolo con la sottana». Dall’altra parte lui, Hugo Chà¡vez, ancora in gran forma, e ispirato dal «Cristo, per me il primo socialista della storia». Perché la sua Revolucià³n — così come quella di Fidel Castro nell’altro secolo — aveva sì preti e prelati come fastidiosi ostacoli di percorso, ma erano loro a non aver capito nulla del Salvatore. «Da anni vado studiando le profonde affinità  tra la dottrina cristiana e quella rivoluzionaria», rivelò Castro nel 1985 al frate brasiliano Frei Betto. Quella lunga intervista divenne un manifesto della Teologia della liberazione. Ma delle elucubrazioni di Fidel i cattolici a Cuba ancora non erano stati avvisati: se quell’anno sull’isola volevi festeggiare il Natale o battezzare un figlio rischiavi il posto di lavoro, e qualcosa in più.
Se Benedetto XVI, come pare sempre possibile, nonostante i dubbi del portavoce vaticano, incontrerà  domani all’Avana sia l’infermo Chà¡vez, in lotta con un tumore terminale, sia l’85enne Fidel Castro, sul quale sono ormai forti le voci di un profondo travaglio personale, probabilmente non ci sarà  tempo per rivangare il passato. O ricostruire percorsi e fissare linee teologiche. Ne sapremo poco di quello che si diranno, ed è giusto così. In fondo al percorso della vita, fai i tuoi conti, glissò poco tempo fa Castro parlando con Oliver Stone. Ognuno i propri. 
Chà¡vez non ha bisogno di convertirsi, è da sempre un cattolico dichiarato. E quando definiva «troglodita e cavernicolo» il vescovo di Caracas Jorge Urosa non ci trovava alcuna contraddizione. Poi è arrivata la malattia, un brutto tumore. Secondo alcuni medici gli resterebbero pochi mesi di vita. Lui si ostina a negare, sogna la rielezione, vuole apparire sano. Messianico sin dall’inizio del suo percorso politico, oggi rasenta il misticismo. Dice che con lui, la sua salute, ci sono Dio, la Virgen del Valle, la Virgen del Carmen e anche gli spiriti della savana. Accende candele e chiama a veglie i suoi fedelissimi mentre si svolgono le operazioni e le sessioni di chemioterapia. Ha ammesso che il motto ufficiale «Socialismo o muerte!» suona ormai un po’ macabro, e ha chiesto ai suoi di sostituirlo con il più leggiadro «Vivremo e vinceremo!». Ma poi ammette che ciò che importa è che sopravviva la sua rivoluzione. 
A manifestare interesse a incontrare Fidel Castro, in forma privata e fuori dal protocollo, sarebbe stato invece proprio il Papa. Non siamo di fronte a una novità . Quel che più colpì della visita di Giovanni Paolo II nel 1998 fu l’evidente empatia con il leader cubano, che proprio in quei giorni smise di usare la divisa militare verde. Wojtyla gli spuntò parecchio, da allora i cattolici a Cuba sono più liberi, e la gerarchia cattolica ha buoni rapporti con il governo (pure troppo, lamentano inascoltati in questi giorni i dissidenti). Ma è probabile che alle orecchie di papa Ratzinger, in questi anni, siano arrivate le voci di un Fidel Castro ormai pronto a rientrare nel gregge, lui cresciuto in una famiglia cattolica, ottimo studente dai gesuiti e sempre interessato a questioni teologiche. Quando spiegava a Frei Betto nel 1985 di non trovare grandi contraddizioni tra Marx e Cristo «straordinaria figura rivoluzionaria», ammetteva anche che la fede personale no, quella era andata perduta. 
Da allora altri anni sono passati. A Leonardo Boff, altro religioso brasiliano vicino a Cuba, tempo fa Castro ammise che gli sarebbe piaciuto ritrovare la fede della sua infanzia, ma non sapeva dire se ciò sarebbe mai avvenuto. «Però mi piacerebbe averti qui al mio fianco il giorno della mia morte, io tu e Betto», rivelò Boff. Salvato nel 2006 da un medico spagnolo, lo stesso che adesso vorrebbe ripetere il miracolo con Chà¡vez, Fidel Castro ha avuto un sorprendente recupero considerata l’età , ha mantenuto la promessa di non occuparsi più della gestione del potere, ma di «grandi questioni riguardanti il futuro dell’ umanità ». Cosa che lo aveva affascinato nei suoi dialoghi con l’anziano Wojtyla quattordici anni fa, e sulle quali aveva ammesso di avere molti punti in comune con l’allora Pontefice. Di Benedetto XVI ha invece parlato assai poco in questi anni. E se si vedranno davvero, stavolta la sintonia con il quasi coetaneo Joseph Ratzinger, più giovane di pochi mesi, potrebbe avvenire su cose meno terrene.

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