Dentro il carcere di Canton Mombello, il più sovraffollato d’Italia

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MILANO – La Lombardia è la regione con il più alto numero di detenuti in Italia. Ce ne sono più di 9mila. Talmente tanti che spesso sono costretti a trasferirli nelle carceri del Sud. Per capire qual è la situazione andiamo nel carcere di Canton Mombello a Brescia. E’ una vecchia struttura di fine ‘800. Il sovraffollamento è al 260%. Ci dovrebbero essere 200 persone e invece ne sono affastellate quasi 600, il triplo. Non a caso è il più sovraffollato d’Italia.

Il direttore è una donna, Francesca Gioieni. E’ contenta che finalmente qualcuno vada a vedere in che condizioni sono. Ci spalanca le porte del carcere e ci consente di scattare una fotografia ancora più nitida e impressionante rispetto alla precedente puntata. La prima cella è piccola, saranno meno di 8 mq ma sembrano essere in pochi. Dall’esterno si vedono solo un ragazzo accanto alla cancellata e un altro steso su una branda. Quando entriamo escono fuori in cinque, non capiamo bene da dove. Si spingono uno accanto all’altro per stare in piedi. Ci accompagna il Garante dei diritti dei detenuti. Calcola che ognuno ha circa 50 cm di spazio per muoversi. Per la Corte di Giustizia Europea ci vogliono almeno 7 metri per ogni detenuto, altrimenti è tortura. La struttura del carcere è vecchia è inadeguata. Da anni si parla di un edificio più dignitoso.

«Solo parole» commenta laconica la Gioieni. «A ogni ispezione di politici, istituzioni, sindacati, rappresentiamo sempre gli stessi problemi ma non cambia mai niente. Ogni volta ci lasciano in queste condizioni». In «queste condizioni» significa che in ogni cella mediamente ci sono 14 detenuti. Ma non è il peggio che può capitare. Al primo piano, in una sola cella, ne sono ammassati 18. Un solo bagno. Chi proprio non riesce a trattenere i bisogni li fa in una bacinella che poi la pulisce nel lavabo. Un unico lavabo dove cucinano, si lavano e puliscono i bisogni, appunto. Si respira un’aria pestilenziale. Solo quando chiediamo di aprire un po’ le finestre ci accorgiamo che le brande dei letti sono arrivate fin sopra gli infissi. Non si possono aprire per far passare l’aria. Più andiamo avanti e più si assottigliano le differenze con un lager. Per andare alle docce bisogna passare un varco alto poco più di 1,60 mt. Spesso non c’è acqua calda. Solo in alcune celle ci sono i frigoriferi (un lusso per molte carceri) per conservare gli alimenti. Tutti gli altri li depositano in cassette di legno che appoggiano accanto al gabinetto per mancanza di spazio.

In Italia gli stranieri rappresentano meno dell’8% della popolazione ma in carcere arrivano al 60%. A Canton Mombello questa percentuale sale al 70%. Senza la possibilità  di avere documenti e un posto in cui vivere, agli stranieri è impossibile beneficiare, ad esempio, degli arresti domiciliari. Ecco perché, pur commettendo reati meno gravi, rispetto agli italiani restano in carcere di più e più a lungo. «Le misure cautelari per loro sono vietate – dice il garante -. Anche quando potrebbero uscire restano in carcere perché attorno hanno il vuoto». Ma anche la situazione generale è drammatica. L’VIII rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia redatto dall’associazione Antigone riporta che le persone che accedono alle misure alternative in Italia sono 13.383. In Francia sono 123.349 e in Spagna 111.994. Significa che in Italia oltre al carcere non c’è alcuna prospettiva.

Se è già  difficile immaginare questo tipo di detenzione per un colpevole, si trasforma in incubo se si pensa che la maggior parte dei detenuti che visitiamo a Canton Mombello sono in attesa di un giudizio, cioè tecnicamente innocenti. Su circa 600 detenuti solo 188 sono definitivi. La loro unica speranza per non impazzire tra le mura di questi lager resta il lavoro in carcere. Peccato che sono finiti i fondi della Legge Smuraglia, una legge che prevedeva sgravi contributivi e fiscali per chi assumeva detenuti” taglia corto Gioieni. A Canton Mombello, come in tante altre realtà , vanno avanti con le donazioni delle associazioni e il volontariato, si sta attenti anche a un solo euro perché, se da un lato aumentano i detenuti dall’altro diminuiscono gli stanziamenti per il carcere. Non diminuiscono, invece, gli stanziamenti per gli stipendi dei manager. L’ex capo dipartimento Francesco Ionta, sostituito appena da qualche giorno, percepiva 543 mila euro all’anno, quello del dipartimento minorile ne percepisce quasi 300 mila per dodici mesi di lavoro. Cifre che fanno sorridere i detenuti di un progetto di giornalismo che incontriamo nella biblioteca bresciana. Da mesi sono alla ricerca di 700 euro per stampare la loro rivista. «Ci è indispensabile per far capire che non siamo nati così, che se ci danno un’opportunità  possiamo recuperare o, quanto meno, non uscire peggiori, con una rabbia che non è nostra ma è figlia di quello che si vive qui dentro». In queste condizioni, parlare di rieducazione o di cura per i tossicodipendenti diventa persino paradossale. «Ma se non abbiamo lo spazio dove metterli, come facciamo a pensare a tutto il resto? – dice il dottore incaricato – Continuare così vuol dire fargli pagare la pena due volte».


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