Eni “dimentica” Snam e punta tutto sui nuovi pozzi

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LONDRA – Eni prepara il futuro “all’americana”, sempre più pozzi e trivelle e meno attività  regolate, come Snam che lascerà  del tutto: «Il mio cervello ha già  smesso di pensare a Snam», ha detto l’ad Paolo Scaroni, che nella City ha presentato il piano al 2015. Le recenti scoperte di idrocarburi permettono al gruppo di confermare la crescita di oltre il 3% medio annuo, anche con prezzi medi più alti (90 dollari al barile fino all’anno prossimo, 85 fino al 2015) che erodono l’ammontare dei contratti di produzione. E lo sviluppo dei nuovi pozzi aumenterà  la produzione di un altro 3% medio al 2021, fino all’obiettivo di 2,4 milioni di barili. A fine 2011, anche per la crisi libica, Eni produceva 1,67 milioni di barili equivalenti. «L’azienda entra in una fase di rapida crescita, non solo nel piano ma per la prossima decade – ha detto Paolo Scaroni -. Abbiamo progetti significativi che aumenteranno la visibilità  della nostra crescita. Lo dobbiamo al successo delle attività  esplorative». Sulle altre Eni continua a giocare in difesa. Nel Gas & Power, in uno scenario «che resta difficile nel breve, con il prezzo spot a forte sconto», Eni stima un +18% delle vendite business in Europa, e un +28% nel retail. Nella Raffinazione & Marketing si stima di migliorare l’utile operativo di 550 milioni, con una domanda «stabile o in declino» perché c’è sovracapacità  di raffinazione. Nella chimica infine, in uno contesto di «crescente pressione sui prezzi», si cercano 400 milioni di nuovi utili operativi. 
Dai tempi di Vittorio Mincato non si vedeva una presentazione tanto focalizzata sull’esplorazione di idrocarburi, che ha attirato l’interesse degli investitori (il titolo ha chiuso in rialzo dello 0,44%). Su Snam, invece, il management Eni ha dato indicazioni nette al governo, che con un decreto a maggio sancirà  la separazione della holding delle infrastrutture di trasporto, distribuzione e stoccaggi di gas: «Eni uscirà  da Snam il giorno dopo che ne avrà  perso il controllo, velocemente». Ma per farlo, Scaroni ha espresso tre caveat al governo, che è anche primo azionista Eni: «La posizione del cda è che l’operazione sia friendly per gli azionisti Eni, cui vanno riconosciuti i quasi 7 miliardi di quel 52%; che si evitino penalizzazioni ai soci Snam legate a un eccesso di vendite di titoli; che si rafforzi il bilancio Eni, sotto sforzo per finanziare i progetti di sviluppo idrocarburi». Malgrado l’addio a Snam comporti il deconsolidamento di 12 miliardi di debiti, per Scaroni l’ipotesi di uno scorporo non ripagato in denaro (ventilata a Palazzo Chigi) costerebbe un taglio di rating a Eni, perché «se ne andranno anche i ricavi in attività  regolate che compensano quei debiti». «La decisione è nelle mani del governo – ha detto il presidente Giuseppe Recchi –. Eni non potrà  fare altro che adeguarsi, anche se fosse sfavorevole, trovando una formula adeguata per i mercati».
A parte Snam, la crescita del gruppo si basa sulle linee interne, «sostenute dal contributo proveniente da cinque aree chiave: Russia (Yamal), Mar di Barents, Kazakistan (l’avvio di produzione di Kashagan è confermato a fine anno), Venezuela e l’Africa sub-sahariana». Per sviluppare i campi però servono miliardi: Eni ne investirà  59,6 (+12% dal piano di marzo scorso). E per difendere «la sostenibilità  del dividendo» servirà  un bilancio forte, a partire dai miliardi attesi per l’uscita da Snam.


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