I due volti opposti della sinistra dopo le sorprese alle primarie

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Perché se a Milano, a Cagliari e a Genova aveva vinto un candidato diciamo così «più a sinistra», a Palermo a prevalere è stato un outsider per così dire «più moderato». Sono le primarie, bellezza, titola spiritosamente l’Unità . E avrebbe anche ragione, se non si desse il caso, puntualmente registrato dal quotidiano fondato da Antonio Gramsci, che «dopo la sconfitta di Rita Borsellino, Antonio Letta e i Modem criticano Bersani sulle alleanze». Reclamando l’immediata archiviazione della cosiddetta foto di Vasto, quella che ritraeva Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola come i tre volti di una sinistra autosufficiente. E anche qualcosa di più.
Palermo-Vasto uno a zero, e palla al centro? In realtà , con questa e altre rivendicazioni, Palermo c’entra, certo, ma fino a un certo punto. Perché il vero oggetto della contesa sono il profilo politico, l’identità , la leadership, le alleanze future del Pd, e forse anche le sue stesse sorti. Succede, eccome, anche sul versante opposto. L’incertissimo futuro del bipolarismo grava pesantemente, su tutti e due i grandi partiti-contenitore che, nel bene e (soprattutto) nel male ne sono stati, nella versione selvatico-muscolare di questi anni, l’architrave. Nessuno può prevedere se, quando e in quali forme ricomincerà  in Italia un’aperta lotta politica (una volta si diceva così) per il governo del Paese. Ma, ove mai si riaprisse, è sicuro che avrà  caratteristiche radicalmente diverse da quelle degli ultimi vent’anni; e che ben difficilmente avrà  per protagonisti Pdl e Pd, o quanto meno questo Pdl e questo Pd. Vengono meno le vecchie ragioni sociali di esistenza. Si fatica a inventarne di nuove.
Di questa diffusa (e fondata) percezione, che si condensa nel mantra «nulla sarà  come prima», risentono, eccome, le polemiche sull’intensità  dell’appoggio da dare a Monti, e soprattutto sul dopo Monti, che serpeggiano nel Partito democratico e nei suoi dintorni. Investono in primo luogo, come avviene spesso, specie quando grandi idee in circolazione non ce ne sono, le alleanze. Ma poi, come è tradizione a sinistra e nel centrosinistra, i contrasti sono destinati a investire, persino nei tempi postideologici di partiti così leggeri da non riuscire a selezionare nemmeno degli amministratori locali, anche le questioni identitarie: quelle questioni identitarie che ormai quasi per consuetudine si definiscono irrisolte. Chi siamo. Cosa vogliamo. Quale rapporto abbiamo non solo con la nostra storia recente, che non è grandissima cosa, ma soprattutto con le storie pesanti delle nostre vite politiche precedenti. Di quale campo di forze vogliamo essere parte in Europa, visto che fuori da un dimensione europea non si va da nessuna parte.
Senza nulla togliere all’importanza delle polemiche sui brogli ai seggi delle primarie palermitane, e nemmeno alla foto di Vasto, è qui che la questione si fa davvero spinosa. Forse addirittura irrisolvibile. Perché il Pd, quello a vocazione maggioritaria, è nato con l’ambizione di essere in quasi solitudine una grande e moderna forza di governo di centrosinistra. Poi ha smarrito per via questa ambizione. E adesso rischia di trovarsi lacerato. Di qua chi intende fare, prima che sia troppo tardi, rotta al centro, dove già  si sta dando convegno la politica che conta di domani, di là  chi è convinto che il problema sia non perdere il contatto con quanto (e non è poco) c’è e preme alla sinistra del Pd, e incrocia le dita sperando in Hollande e in Gabriel. È quasi inutile segnalare che non si tratta di un confronto da tavola rotonda. Perché i moderati che guardano al centro condividono con i moderati che al centro già  ci stanno la convinzione che Monti, in carne e ossa o quanto meno in spirito, anche nella prossima legislatura dovrebbe guidare un governo sorretto da una grande coalizione. E Bersani e compagni continuano a confidare (anche se la convinzione sembra diminuire con il passare dei giorni) che, nell’aprile dell’anno prossimo, passata l’emergenza, tornerà  il tempo della politica.
Per molto meno, quando c’erano i partiti vecchio stampo, si sarebbe convocato un congresso. Adesso, con l’aria che tira, non se ne parla nemmeno, e si capisce. Meglio azzuffarsi di primarie in primarie. Meno male per il Pd che il 7 maggio si vota, e queste di Palermo, a occhio e croce, sono state le ultime.
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