I paletti Cgil alla prova di un patto «obbligato»
ROMA — Sarà anche una forzatura, ma rende l’idea: se non ci fosse la Cgil, l’accordo sulla riforma del lavoro si sarebbe già trovato, nel senso che le posizioni della Confindustria, delle altre associazioni imprenditoriali, di Cisl, Uil e Ugl, pur distanti, non sono inconciliabili. Ma la Cgil c’è, con tutto il suo peso e tutta la sua importanza, ed essendo la meno disponibile ad accettare modifiche all’articolo 18 (licenziamenti) rende più difficile raggiungere quell’accordo che da ieri è in qualche modo «obbligato», perché così vuole il presidente della Repubblica. Però, a ben vedere, proprio l’intervento di Giorgio Napolitano potrebbe spingere o «costringere» la leader della Cgil, Susanna Camusso, ad ammorbidire un po’ la sua linea, cosa che fino ai ieri pomeriggio sembrava improbabile, tanto è vero che il vertice di due ore della mattina fra lo stesso segretario della Cgil, Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil) non era servito ai sindacati a trovare un’intesa sul nodo dell’articolo 18.
Vediamolo allora questo nodo. Il governo Monti è determinato a cambiare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che risale al 1970 e che, secondo il premier, è d’ostacolo agli investimenti dall’estero. Napolitano lo sostiene, anche perché vuole che l’Italia rispetti gli impegni presi con l’Europa, cosa dalla quale dipende il giudizio dei mercati finanziari. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, d’intesa con Monti, ha illustrato la scorsa settimana una proposta ai sindacati che lascia il diritto al reintegro nel posto di lavoro (articolo 18) solo sui licenziamenti discriminatori. Su quelli per motivi economici ci sarebbe invece un equo indennizzo mentre su quelli disciplinari deciderebbe il giudice tra reintegro e indennizzo. Questa proposta ha ricevuto anche il via libera politico in un vertice tra Monti e i segretari «Abc» (Alfano, Bersani, Casini). Ma a questo punto le parti sociali, non gradendo questa sorta di commissariamento della trattativa in corso, si sono irrigidite, tornando alle posizioni di partenza. La Confindustria dicendo che l’articolo 18 doveva essere sostituito sempre con l’indennizzo (salvo i licenziamenti discriminatori) e la Cgil ribadendo che l’articolo 18 «non si tocca».
Davanti al rischio che il negoziato naufragasse, Monti, un paio di giorni fa, ha provato a fare la voce grossa, ricordando ai sindacati che lui sarebbe andato avanti anche senza il loro accordo, portando la riforma in Parlamento. Ma ha trovato sponda solo in Bonanni, il leader che, fin dall’inizio, più si è speso per l’intesa, proponendo, insieme col suo vice Giorgio Santini, continue mediazioni. Camusso, invece, si è arroccata sul no e ha trovato un alleato tattico in Angeletti. Ma ecco che quando le possibilità di intesa sembravano ridotte al lumicino è arrivato il monito di Napolitano. A questo punto la trattativa si è rimessa in moto. E qui bisogna scendere nei tecnicismi, perché alla fine, l’accordo, se ci sarà , si farà sulle virgole.
Si lavora così sulla misura dell’indennizzo, sul dettagliare le cause che autorizzino il licenziamento disciplinare e sulla rapidità delle sentenze. È chiaro che un indennizzo forte e crescente con l’anzianità di servizio scoraggerebbe i licenziamenti facili. Così come obbligare per esempio il giudice a tener conto di quanto scritto nei contratti a proposito delle infrazioni disciplinari ridurrebbe l’area di discrezionalità . Si tratta da un lato di evitare che il giudice dia sempre torto all’azienda ma dall’altro di evitare anche licenziamenti arbitrari, non legati a fattispecie precise. Infine, stabilire una procedura d’urgenza che porti alla sentenza entro un termine certo (6-12 mesi) è chiesto da tutti, imprese e sindacati.
Cgil, Cisl, Uil e Ugl, nonostante le sollecitazioni di Fornero, non hanno presentato una proposta comune sull’articolo 18. Cisl e Uil hanno suggerito al governo di lasciare il solo reintegro anche sui licenziamenti disciplinari. L’indennizzo, quindi, resterebbe solo su quelli economici. Un’ultima mano tesa alla Cgil. Troppo poco, però, per la Confindustria. La mediazione finale spetterà a Monti, che oggi pomeriggio a Palazzo Chigi darà il via all’ultima fase della trattativa. Se tutte le parti, sia pure a fatica, convergeranno — e qui è determinante Confindustria — anche Camusso potrebbe prendere in considerazione il sì all’intesa, per non restare isolata. È noto che la Cgil è pronta a qualche concessione ma solo sui licenziamenti economici (indennizzo). Si tratta di creare le condizioni per strapparle qualche apertura anche sui disciplinari. A quel punto l’accordo auspicato da Napolitano si comincerebbe a vedere. E si potrebbe «forzare» anche con un lodo «prendere o lasciare». Se invece questa strada non sarà percorribile, il governo cercherà la «quasi intesa»: un testo senza chiedere le firme alle parti sociali. Per evitare l’accordo separato e lo scontro sociale.
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