IL SANGUE E IL VOTO

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Nessuno, durante il primo giorno, ha osato strumentalizzare quel sangue. Il quale poteva offrire spunti polemici ai candidati all’Eliseo, dell’uno o dell’altro campo. Se l’autore della strage, cominciata con l’assassinio di quattro militari, paracadutisti, alcuni dei quali di origine magrebina, l’11 e il 15 marzo, prima a Tolosa e poi a Montauban, si fosse rivelato di estrema destra la sinistra ne avrebbe potuto trarre seri argomenti. Ma quasi subito gli inquirenti hanno intravisto in quegli omicidi, ritmati a distanza di quattro giorni, l’impronta “fondamentalista”. Fin da lunedì era infatti privilegiata la pista di un salafita, ansioso di vendicare l’Afghanistan con l’uccisione dei parà  colpevoli di partecipare a quella guerra e di colpire i piccoli ebrei, franco-israeliani, per il conflitto in Palestina. Quando è emerso il nome del franco-algerino Mohammed Merah, i vertici della società  politica, dunque i principali candidati alla presidenza, in testa ovviamente il presidente-candidato Sarkozy, conoscevano già  la natura ideologica del delitto, maturato in un giovane disoccupato, con qualche piccolo reato alle spalle e un mese di prigione da scontare, un giovane arabo spinto dal fanatismo a imprese spettacolari, capaci di dare notorietà .

Non si trattava dunque di un serial killer animato da una generica fobia, da un raptus omicida, e ispirato dall’atmosfera prevalente nelle nostre società , ma di un assassino al quale si poteva aggiudicare un’ideologia. Un’identità  ibrida, confusa, da ricostruire ricorrendo al ricordo di nonni e padri sottomessi al dominio coloniale della Francia, della quale lui, Mohammed, era diventato un cittadino.

Un cittadino frustrato e senza lavoro. Poi il mito di Al Qaeda, sinonimo di rivolta, di sfida per un giovane musulmano nato in Europa. Il terrorismo era diventata un’impresa avventurosa. Le vantate brevi esperienze in Pakistan e in Afghanistan sono ben lontane dal provare una sua concreta affiliazione all’organizzazione creata da Bin Laden.

Stando agli amici Mohammed Merah era un “lupo solitario”. Per il suo avvocato era «dolce, aveva una faccia d’angelo e un linguaggio educato». Nascondeva bene la ferocia che l’ha condotto a uccidere dei bambini a sangue freddo. Ma chi gli ha dato le armi? Chi gli ha dato i soldi per comperarle? E quelli per affittare due automobili, come ha detto ai poliziotti d’élite del Raid (unità  di Ricerca, Assistenza, Intervento e Dissuasione) che lo assediavano e volevano prenderlo vivo, nel quartiere di Coté Pavée, a Tolosa? Strano lupo solitario, con un arsenale a disposizione. E anche strano jihadista. Sempre ai poliziotti ha detto di non avere l’animo di un kamikaze e che quindi non si sarebbe suicidato. I compagni del quartiere hanno raccontato che Mohammed voleva a un certo punto arruolarsi nella Legione Straniera. Ma fu rifiutato. Per questo ha poi puntato su Al Qaeda. Uno sbandato. Un piccolo delinquente mitomane che con la sua azione potrebbe influenzare l’elezione del futuro presidente della Quinta Repubblica.

Proprio in questi giorni si celebra il cinquantenario degli accordi di Evian che condussero tre mesi dopo all’indipendenza dell’Algeria. La fine di quella guerra (19541962) ha portato in Francia tanti ebrei sefarditi, al punto che la comunità  ebraica è adesso la più numerosa (seicentomila) dopo quelle di Israele e degli Stati Uniti. E al tempo stesso i musulmani, in gran parte algerini, già  cittadini francesi o ancora immigrati, si aggirano sui sei milioni. La cifra è approssimativa perché la legge proibisce le statistiche religiose. Mohammed Merah appartiene a una generazione di immigrati nata in Francia.

Nella sua mente si sono accumulate le vecchie passioni del periodo coloniale ereditate da padri e nonni, e quelle attuali, bollenti, del problema israelo-palestinese. L’irrisolto dramma mediorientale ha dei riflessi sulle due grandi comunità . In quella musulmana e in quella ebraica che, all’ombra della bandiera francese, vivono una accanto all’altra. Lo Stato accentratore, giacobino, condanna il comunitarismo come un grave peccato anglosassone, e tuttavia per certi aspetti la tenzone ebrei-musulmani si è trasferita in Francia. E alimenta passioni che si mischiano a quelle locali, indigene, attuali. Politiche e sociali. Le tendenze antiimmigrati sono sfruttate dai partiti di destra e di estrema destra. E dunque dai rispettivi candidati alla presidenza. Nonostante gli argomenti offerti dai delitti avvenuti nel Sud Ovest, in particolare quelli agghiaccianti di Tolosa, la campagna elettorale non ha aggiunto l’ignobile all’orrore. Al punto che Jean Daniel, nato in Algeria da una famiglia ebrea, e fedele in egual misura alle sue originie alla ragione repubblicana, non si è trattenuto dall’esprimere ammirazione. E ha scritto: «Con una forza impeccabile, quasi con rabbia, la nazione francese ha affermato la propria esistenza davanti all’orrore».

Ma la condotta esemplare è arrivata a stento alla fine della tregua elettorale, decisa da Nicolas Sarkozy e da Franà§ois Hollande, i due principali candidati. Non ha retto più di ventiquattro ore. Doveva scadere ieri, mercoledì. Di fatto è scaduta quando è stata resa pubblica l’identità  dell’assassino. Dichiarandosi «uno di Al Qaeda», un islamista radicale, meglio un jihadista, nella versione guerriera, terroristica, Mohammed Merah ha dato il viaa un’altra campagna elettorale. Marine Le Pen è stata la prima a infrangere l’iniziale condotta esemplare della società  politica. La candidata alla presidenza del Front National ha subito preso l’assassino islamista come una prova vivente dell’incapacità  di Sarkozy di combattere il terrorismo. Il quale è per lei, contraria all’immigrazione, in particolare a quella arabo-musulmana, implicitamente annidato nelle masse magrebine che «occupano la Francia». Un comunicato del Front National denuncia «i farabutti» che l’hanno accusato di razzismo. Marine Le Pen non mancherà  di argomenti nei prossimi comizi. Mohammed Merah ha tuttavia favorito elettoralmente soprattutto Nicolas Sarkozy. Gli ha dato l’occasione di dimostrare la sua fermezza e il suo dinamismo in un momento critico. E in questi frangenti il presidente-candidato dà  il meglio di se stesso. È deciso e ha i riflessi pronti. Nelle ultime ore ha predicato l’unità  del Paese, ha ricevuto insieme le autorità  religiose musulmane ed ebraiche, ha invitato a «non cedere alla confusione e alla vendetta», è corso a Tolosa per visitarei poliziotti che accerchiavano Mohammed Merahea Montauban per assistere al funerale dei paracadutisti, ha visitato una scuola e ha presieduto un Consiglio dei ministri. È apparso insomma il presidente capace di garantire la sicurezza del Paese. Questo non farà  dimenticare il presidente amico dei ricchi e incline a comportamenti che non si addicono a un capo dello Stato francese, ma renderà  meno facile la vittoria quasi annunciata di Franà§ois Hollande, il candidato socialista.


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