India, Iran, Mediterraneo: ora una nuova Politica estera

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I compiti dell’Italia sono soprattutto in Europa. Sarebbe tuttavia un guaio se non ascoltassimo il fragore sempre meno nascosto e ormai incessante che giunge dal Mediterraneo e da una zona vastissima, estesa fino all’Oceano indiano. Quest’accumulo di avvisaglie, antiche e recenti, rappresenta una sfida inedita per l’Italia. La espone a impegni gravosi ma necessari. L’instabilità  è un nostro mortale nemico. Il rischio è che — partendo dal Medio Oriente, dall’Africa orientale, dall’Oceano indiano fino al Mediterraneo — progredisca verso nuove e inedite configurazioni. Non torneremo alla situazione del XVIII secolo, quando l’insicurezza dominava e i pirati spadroneggiavano nel mare nostrum, ma ci mancherà  poco.
Anche per questa ragione, l’episodio dei due fucilieri di marina accusati dell’uccisione di due pescatori indiani è grave. È un tragico incidente in un’area geografica diventata un nodo conflittuale d’interessi, d’emozioni, di culture dove operano Stati impegnati in una corsa agli armamenti e al prestigio. È l’epicentro della pirateria mondiale che rappresenta una minaccia per l’Occidente ma in particolare per l’Europa. Si è accesa una spia rossa. Lasciamo perdere l’episodio dell’armatore D’Amato che, pur diffidato dalla Marina militare di lasciare le acque internazionali del mare arabico dove si trovava la nave, ignora l’avvertimento, la fa attraccare nel porto di Kochi, consegna di fatto i due militari alla polizia indiana. Con mancanza di responsabilità , espone il suo Paese a una situazione d’imbarazzo internazionale. Non certo per colpa del nostro governo, l’Italia si ritrova in una trappola. A corto termine se ne potrà  uscire facendo affidamento sulle capacità  negoziali del sottosegretario Staffan De Mistura e sull’equilibrio delle autorità  indiane. A lungo termine, la questione è maggiormente complessa. La tranquillità  della navigazione non potrà  essere assicurata solo dalla presenza di personale militare a bordo. Occorrono ormai società  specializzate nella gestione della sicurezza come si fa in diversi altri Paesi. Serve inoltre un impegno radicale — politico, militare, giuridico — verso il fenomeno della pirateria accompagnato da uno sforzo fuori dal comune per prevenire il contagio dell’instabilità .
A maggior ragione diventa evidente la necessità  di recuperare il danno d’immagine subito con una decisa assunzione di responsabilità  sui problemi — Nord Africa, Siria, Iran — che richiedono una strategia incardinata in un’azione europea comune. L’Europa e l’Italia hanno già  perso diverse occasioni: la primavera araba affrontata in ordine sparso e senza strategia d’insieme; il conflitto in Libia, legittimo ma condotto in un quadro confuso che non è esempio di gestione di una crisi. Si ergono ora di fronte a noi due dirompenti questioni che potrebbero mettere in ginocchio l’intera politica mediterranea dell’Europa e dell’Italia: Siria e Iran. Manca ancora un disegno. Eppure il tempo stringe e l’Italia deve avere le idee chiare. I problemi sono due: fermare i massacri e rimuovere Bashar Al Assad; affrontare la prospettiva che l’Iran costruisca un ordigno nucleare. È impossibile spiegare all’opinione pubblica le ragioni per cui l’intervento in Libia non possa essere invocato come un precedente perché le considerazioni sulle diversità  fra le due situazioni si esauriscono di fronte ai circa 9000 morti già  provocati dalla repressione. Il prolungamento della permanenza al potere del dittatore siriano significa la crescita del loro numero e un regalo superfluo a Teheran. Sull’Iran l’Italia ha il dovere d’interrogarsi circa le conseguenze che un intervento armato — d’Israele, degli Stati Uniti, di entrambi — per impedire a Teheran di dotarsi dell’arma atomica, avrebbe sulla stabilità  del Medio Oriente e, di conseguenza, sulle rotte dei rifornimenti energetici, sui transiti commerciali con l’Estremo Oriente, sulla minaccia del terrorismo, sugli stessi flussi migratori. Non si tratta d’interrogativi teorici concreti. Implicano il coraggio, bilateralmente e in un quadro europeo, d’ammonire Israele che i problemi non possono essere sempre risolti con la forza (la crisi siriana offre innovative possibilità  di pressione su Teheran), d’aiutare gli Stati Uniti a trovare canali appropriati per dialogare con l’Iran: sarebbe folle precipitarsi in un’avventura piena d’incognite senza aver fatto ricorso al dialogo. Richard Nixon e Mao Tse Tung erano avversari all’ultimo sangue ma hanno ben trovato un accordo nel 1972. La storia non si ripete ma va ricordata. Una presenza autorevole dell’Europa in Medio Oriente costituisce infine una garanzia contro la possibilità  che numerosi rivoli d’instabilità  confluiscano in una direzione comune e pongano l’Europa con le spalle al muro in un momento di fragilità  della propria esistenza.
Negli ultimi anni, l’Europa ha trovato il tempo, l’energia e le risorse solo per la gestione dell’emergenza finanziaria. Si spera che guardi oltre le proprie frontiere. Anche l’Italia non è paralizzata dalla politica del precedente governo che considerava il Mediterraneo in termini d’ordine pubblico (respingimento degli immigranti) e dialogava passivamente con Israele. È ora che ritrovi un’antica saggezza mediterranea, recuperi credibilità  con il mondo islamico, faccia fronte alle proprie responsabilità .


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Psicoanalisti di boss mafiosi, finti manifestanti di regime, dissidenti che vanno in vacanza in Messico, intellettuali vip. Un grande scrittore spiega perché con le ultime elezioni la Russia ha avuto paura di far cadere Putin. E perché le voci da ascoltare, come racconta nel suo ultimo libro, sono quelle del vecchio Limonov e del giovane Prilepin. Potete spostarvi, potete dire quello che volete, guadagnare soldi, rubarli, ma non potete dire la vostra sulla direzione del Paese: non è faccenda che vi riguardi

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