Joachim Gauck re borghese

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In Germania avanza un’onda plebiscitaria, refrattaria a argomentazioni critiche. È l’apparentemente insaziabile nostalgia, non solo tedesca, per un monarca borghese che ci indichi la via. In quale direzione, non è poi così importante. 
I verdi sono entusiasti per l’elezione alla presidenza della repubblica di un combattente per la libertà , che esorta sì i cittadini a impegnarsi, ma che poi considera «terribilmente stupida» la protesta del movimento Occupy contro lo strapotere della finanza («Ho già  vissuto in un paese, la Rdt, dove le banche erano di stato», ha commentato Gauck). E ridicolizza i cittadini di Stoccarda che non vogliono si sconvolga il sottosuolo per spostarci i binari della stazione ferroviaria – progetto escogitato anche per regalare terreni edificabili alla speculazione edilizia – accusandoli di pensare solo al loro «orticello».
La Spd, che non è nemmeno riuscita a espellere dalle sue fila il patente razzista Thilo Sarrazin, già  assessore alle finanze a Berlino e autore del libro La Germania si distrugge, dove paventava la degenerazione del livello intellettuale in seguito all’immigrazione di individui poco intelligenti e molto prolifici dall’Anatolia, si mette coerentemente al seguito di Gauck, che nel 2010 lodò come «coraggiosa» la suddetta opera di Sarrazin.
Nessuno dei politici e delle politiche che hanno intronizzato Gauck spende una parola sulla circostanza che, negli ultimi sessanta anni, è sempre stato un inquilino, mai un’inquilina, a risiedere prima nella villa Hammerschmidt a Bonn e poi nel palazzo di Bellevue a Berlino. Che non sia un caso, lo ha ammesso con franchezza il liberale Dirk Niebel, asserendo che Gauck sarebbe appunto «l’uomo migliore». Bingo! Avere il sesso giusto è dunque ancora nel 2012 la precondizione minima per accedere alla massima carica dello stato. Non solo nell’accezione biologica, anche sul piano ideologico.
Il migliore di tutti i possibili presidenti della repubblica parla solo, nelle sue interviste, di «padri della costituzione», dimenticando le poche ma illustre madri nell’assemblea costituente. E nulla ha ancora detto in pubblico su come pensa di assicurare l’esistenza economica della sua compagna Daniela Schadt che, come fosse la cosa più naturale del mondo, «ovviamente» dovrà  rinunciare per lui alla professione di giornalista.
Su tutto questo – attenzione, pericolo di femminismo – silenzio. L’unico a non tener chiusa la bocca sui «rapporti personali» di Gauck è l’ultraconservatore socialcristiano Norbert Geis. Che però, chiedendo a Gauck di «mettere ordine» nella sua situazione familiare, non pensa a questioni di genere, ma vuole solo vedere rappresentato il paese da un uomo debitamente coniugato. La Germania, in un passato non troppo lontano, sembrava già  essere più avanti che in questi giorni di entusiasmo per Gauck.
Così resta da sperare che il pastore Gauck nei prossimi cinque anni offra al paese quanto meno «orientamento» possibile. Meglio sarebbe se di questo si occupassero in prima persona coloro cui si rivolgono i suoi ripetuti appelli: i cittadini, we, the people. Non è un buon segno se i cittadini pensano di delegare così docilmente il campo dei valori a un re filosofo nel palazzo di Bellevue, mentre continuano a affidare l’«orientamento» della prole alle scuole confessionali e alle chiese – nel carosello dei candidati è girato anche il nome dell’ex vescovo protestante di Berlino, Wolfgang Huber. 
Ciascuna e ciascuno potrebbe dover attingere liberamente al repertorio delle virtù civiche e democratiche, senza l’aiuto di professionisti dell’attribuzione di senso. In ogni caso, una repubblica che celebra come esemplarmente democratico un candidato unico alla presidenza, e in cui «grandi coalizioni» sembrano diventare la regola invece che l’eccezione – vedi la maggioranza Spd-Cdu varata nel settembre scorso a Berlino, e l’analoga soluzione che si profila nella Saar dove si voterà  il 25 marzo – non ha bisogno di un re borghese. Le mancano piuttosto i repubblicani. 
*Redattrice del quotidiano berlinese Der Tagesspiegel


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