Johannesburg, Moda, musica e cultura, la rinascita di “Jozi”

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La seconda città  più popolosa del continente africano, fondata nel 1886 dagli inglesi con la scoperta di immensi giacimenti d’oro e sede della Corte costituzionale del Sudafrica, è una metropoli alla rovescia. O meglio, lo è stata fino a poco tempo fa. Se ovunque nel mondo il centro cittadino è sede degli affari e della vita culturale, per oltre vent’anni anni il cuore della capitale dell’ex Transvaal (ora Gauteng) è stata una città  morta. La vita si era spostata in periferia: alle sei del pomeriggio i pochi esercizi commerciali chiudevano e le strade diventavano deserte. A Johannesburg venne attribuita la fama di città  pericolosa e senza attrattive: per i turisti era solo un punto di passaggio per andare sulla Garden Route e a Cape Town. Oppure nei grandi parchi come il Kruger, che dista sei ore di auto. La ragione? Fino al 1986, quando ancora vigeva l’Apartheid, la Inner-city (il centro) era abitata solo dai bianchi. C’erano banche, negozi eleganti, ristoranti e grandi hotel come il Sun o il Carlton nel Carlton Centre che, con i suoi cinquanta piani, è stato a lungo il più alto grattacielo africano: dall’ultimo piano, la vista spazia ancora fino alle colline artificiali fuori città , “cresciute” con gli scarti delle miniere d’oro. Nel 1986 la Inner-city, un reticolo ortogonale di strade e grattacieli come a New York, venne dichiarata “zona grigia”, cioè legalmente abitabile sia dai bianchi che dai neri. La paura dell’arrivo dei neri fece crollare i prezzi e iniziò la fuga verso la periferia. Chiusero uffici, negozi, banche. Molti edifici, abbandonati, assunsero un aspetto spettrale. 
Tutto questo è cambiato: nel 1999 l’amministrazione comunale lanciò la Inner-city Economic Development Strategy che finanziava il riassetto dei quartieri di Newtown, Constitution Hill, Braamfontein, Greater Ellis Park, Jeppestown, High Court Precinct, l’area del monumentale ufficio postale e quello chiamato ora Fashion District tra Commissioner e Von Veilligh Street che, con oltre cento aziende e atelier di stilisti, sta facendo diventare Johannesburg capitale della moda africana. Una delle prime ristrutturazioni interessò Gandhi Square con una zona pedonale e il monumento dedicato all’eroe dell’indipendenza indiana che visse e lavorò a Johannesburg dal 1903 al 1914; il palazzo che ospitava il suo studio di avvocato si affaccia ancora sulla piazza. Per rendere vivo il centro era necessario far tornare uffici, negozi e banche: l’idea fu quella di trasformare l’area di Marshalltown, con strade pedonali e monumenti realizzati da artisti contemporanei, in un distretto dedicato al business e alla storia delle miniere d’oro. Nell’area, tra vecchi macchinari trasformati in monumenti e statue di animali su Main Street, si sono insediate la Chambers of Mines e la Standard Bank con una parte diventata museo del Gold Rush.
Nel centro sono molti i musei rinnovati: il Children Museum e l’Africa Museum sull’ampia Mary Fitzgerald Square che tutti chiamano Market Square; l’Absa Museum di Commisioner Street dedicato a oro e monete; la Johannesburg Art Gallery di King George Street che ospita opere d’arte del Novecento; il Wits Arts Museum di Jorrissen Street specializzato in arte africana. Ma il museo più amato, è l’Apartheid Museum sulla Northern Parkway. Quella che si fa qui non è una semplice visita: è un’esperienza attraverso la storia della lotta all’Apartheid, cominciata proprio a Johannesburg, nella township di Soweto, nel 1976. Il museo ricostruisce gli orrori della segregazione razziale e la storia dell’African National Congress, che quest’anno festeggia i suoi cento anni di vita, con filmati, foto, installazioni, blindati della polizia. Chi volesse ripercorrere la carriera politica di Nelson Mandela che ha vissuto vent’anni qui e la nascita del Sudafrica democratico, trova a Johannesburg e a Soweto, poco distante dal centro, decine di siti: da Constitution Hill di Hospital Street, con il suo museo, al vecchio Forte; dal Mandela Yard Interpratation Center, nella township di Alexandra, al Mandela Family Museum di Soweto, non lontano dalla Morris Isaacson High School dove scoppiarono i primi disordini e ci furono le prime vittime. Al leader dell’Anc è dedicato il grande Mandela Bridge che collega Newtown a Braamfontein; il ponte, illuminato di notte, ospita spesso sfilate di moda e concerti. 
Secondo il Financial Times, che ha dedicato a Johannesburg, chiamata Joburg o Jozi, un lungo articolo che la definisce «ex capitale del crimine e ora della cultura», il cuore della trasformazione è stato Braamfontein. Qui gli immobili, crollati i prezzi negli anni Novanta, furono affittati a studenti e artisti. Aprirono gallerie d’arte, studi di pittori, designer e locali alla moda. Simbolo della rinascita del quartiere è il Neighbourgoods Market di Juta Street che si tiene ogni sabato con la vendita di prodotti biologici, abiti di giovani stilisti, bar all’aperto, musica. Da poco, a Braamfontein, ha riaperto l’Alexander Theatre: era rimasto chiuso per ventidue anni. Quando portò in scena negli anni Sessanta West Side Story creò polemiche tra il pubblico bianco per le sue tematiche sociali.


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