La linea: abbassare i toni puntando sul fattore tempo

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ROMA — Il Pd toglie il piede dall’acceleratore. Pier Luigi Bersani incontra Giorgio Napolitano e i toni del leader del Partito democratico si abbassano.
Il presidente della Repubblica spiega al segretario che non si può mettere a rischio il governo, Bersani annuisce e in serata rilascia dichiarazioni concilianti: «Non staccheremo la spina a Monti per la questione del lavoro». Poi, in privato, il segretario spiega: «Sarà  lunga, finché non si arriva in Parlamento saranno tutte chiacchiere a vuoto».
A questo punto il Partito democratico punta tutte le sue carte sulla moral suasion del capo dello Stato che è contrario all’idea di inserire la riforma in un decreto. «Questo — è il ragionamento che viene fatto a Largo del Nazareno — ci permetterà  di prendere tempo. Non trattandosi di un decreto, il provvedimento arriverà  in aula al Senato tra un mese e mezzo-due mesi, quindi ci sarà  tutto il tempo per trattare e per svelenire il clima».
Per questa ragione Bersani e i suoi hanno attenuato la polemica. La linea ora è sostanzialmente questa: «Il governo ha fatto un passo avanti, ora vediamo come migliorare il resto». Sono le parole che ripetono sia Cesare Damiano che Andrea Orlando. Beppe Fioroni, poi, sprizza ottimismo da tutti i pori. Più cauto Walter Veltroni, che però ha fiducia in Monti: «Non ci chiederà  di prendere o lasciare». Anche per l’ex segretario il provvedimento va migliorato in Parlamento. Secondo Veltroni «sarebbe stata molto meglio e più di sinistra la proposta Ichino che prevedeva la riforma dell’articolo 18 per i nuovi contratti», «ma nel mio partito ci sono state molte resistenze…» commenta amaro l’ex leader, conversando con alcuni colleghi di partito.
Chi invece sembra inflessibile è Stefano Fassina: «Il governo non si è dimostrato all’altezza. Le precisazioni che vuole mettere nel testo riguardo ai licenziamenti per motivi economici non risolvono il problema. Sostanzialmente non cambierebbe niente: si tratta solo di un “window dressing” da parte del governo». Il «franceschiniano» Antonello Giacomelli ironizza così sulla linea dura di Fassina: «È più facile convincere la Camusso che lui». Ma anche Matteo Orfini è tra i pasdaran del Pd: «È stato il governo a far saltare il tavolo, il nostro sì non è scontato», accusa il dirigente bersaniano.
Però quasi metà  del partito — da Enrico Letta a Veltroni, passando per Paolo Gentiloni e Fioroni — la pensa diversamente da Fassina e Orfini e spera che grazie al passar del tempo il Pd riesca a staccarsi dalla Cgil e ad aprire un confronto con la Cisl. Del resto, proprio l’altro ieri Bonanni ha parlato con Bersani. Il segretario della Cisl ha chiesto al suo interlocutore di darsi da fare: «Diteci qual è il vostro punto di caduta, diteci su quale accordo volete mettere la faccia e ce la metteremo anche noi, solo così riusciremo a ottenere qualcosa, non andando appresso ai no della Cgil».


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