La montagna sacra contro la miniera

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Presso la metà  occidentale del Kawagebo, invece, ha inizio la pista vecchia ormai di oltre 800 anni, che i tibetani affrontano per compiere il pellegrinaggio nelle località  della loro montagna sacra. Nel febbraio del 2011, proprio a poche decine di metri dal percorso, nelle vicinanze del villaggio di Adin, una compagnia mineraria cinese ha iniziato le operazioni per la ricerca di filoni d’oro.
Le comunità  locali, per cui un’attività  del genere non era nemmeno immaginabile, hanno subito protestato contro la condotta dell’azienda cinese, per di più accusata di aver agito senza aver chiesto alcun consenso, dal momento che nessuno era stato interpellato. Negli ultimi dodici mesi si è verificata una sequela di atti molto controversi. I primi tentativi di intraprendere un dialogo si sono tradotti in minacce e violenze da parte della polizia e di persone al soldo della società  mineraria, evidentemente ben poco intenzionata a negoziare. Allorché anche l’interlocuzione con le autorità  locali si è dimostrata fallimentare, gli abitanti dei villaggi della zona hanno risposto gettando nel fiume Nu attrezzature per i lavori d’estrazione dal valore di trecentomila dollari. Le tensioni sono aumentate, con capi della protesta arrestati e altri episodi di violenza, tanto che intere famiglie hanno preferito spostarsi altrove. A gennaio la svolta, dopo l’ennesimo confronto molto aspro tra polizia ed esponenti delle comunità . Il governo regionale, infatti, ha disposto la sospensione delle trivellazioni. La miniera adesso è ufficialmente chiusa, mentre tutti i macchinari sono stati portati via dal villaggio di Adin.
Gli autoctoni credono che un ruolo in tutta la vicenda l’abbia giocato addirittura la montagna – che evidentemente non è sacra per caso. Si narra del suono degli strumenti tipici tibetani proveniente dal Kawagebo mentre si stavano tenendo i negoziati; di venti fortissimi, del tutto inusuali, che hanno sferzato l’intera zona e che sono finiti appena è stato dichiarato lo stop alle attività  estrattive. E ancora, alcuni abitanti dei villaggi messi sotto contratto per portare rifornimenti di cibo ai minatori hanno raccontato di una forza sovrannaturale che avrebbe impedito loro di sobbarcarsi il peso del loro carico e li avrebbe obbligati a rinunciare al compito assegnatogli. Al di là  delle credenze e del singolare rapporto con la natura della popolazione tibetana, è evidente come per una volta una lotta per rivendicare i propri diritti e per la protezione del territorio ha pagato.
Purtroppo non sempre l’opposizione popolare è servita a scongiurare del tutto progetti dai devastanti effetti sull’ambiente proprio in quella porzione d’Asia. È il caso delle tante, ben tredici, centrali idroelettriche che potrebbero vedere la luce sul corso del fiume Nu. Alcune dighe, molto vicine al World Heritage Site previsto dall’Unesco per Kawagebo, sconquasserebbero l’itinerario del pellegrinaggio alla montagna sacra, oltre a causare lo sfollamento di varie comunità  locali. Il piano dei lavori è stato messo “in attesa” nel 2004, ma non è escluso che le prime pietre dei mega sbarramenti potrebbero essere poste molto presto. Anzi, in base alle informazioni entrate in possesso del World Heritage Committee, in almeno un caso già  si starebbe procedendo con le operazioni preliminari.
Il Comitato ha già  chiesto delucidazioni alla Cina, nella speranza che la cultura tibetana possa sventare anche questa minaccia.


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