I luoghi della memoria, lo struggente viaggio tra le città  del mondo

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Nella mente si crea una sovrapposizione di immagini e sensazioni: i portici di Bologna lungo le avenues di Manhattan al fondo delle quali luccica il mare di Beirut. Alle sue spalle, Superga. Anni fa (la città , all’epoca, era Roma), mi proposero di scrivere una serie televisiva, così originale che non andò mai in onda. Storie fantastiche unite da un solo filo conduttore: lo scenario. Avevano fatto progettare a Vittorio Storaro “CurioCity”, così doveva chiamarsi la serie, con fondali che riproducevano parti di Roma e Londra, Parigi e Berlino. Una città  della memoria, che avevi abitato e lasciato, dove forse ti era accaduto qualcosa o forse l’avevi sognato. Più vivi e traslochi, più quella diventa la tua residenza: la città  della memoria, la topografia dei ricordi che ti consenti. 

Diceva Norman Mailer, essendosi sposato sei volte, che il matrimonio equivale alla vita in una città : «Per un po’ Los Angeles, meravigliosa esperienza. Poi Barcellona, altrettanto interessante. E così via..». Trascurando l’ipotesi di “sposarsi” a Frosinone, con tutto il rispetto per Frosinone. Vero è però anche il contrario: vivere in una città  equivale a una relazione sentimentale. Andarsene provoca strascichi e sofferenze, non importa chi lascia chi e perché. Ricordo ancora la notte in cui abbandonai Beirut. L’aereo partiva all’alba. Il taxi attraversò la corniche in piena notte, il vento piegava le palme, il muezzin per la prima volta mi sembrò emettere un canto anziché un grido. Chiesi all’autista di accelerare e ridurmi lo strazio. 

La prima mattina dopo aver lasciato New York aprii la finestra e vidi sullo sfondo il cupolone, ma davanti agli occhi un cestino che scendeva dalla finestra per ricevere la spesa dal panettiere, come in un film neorealista. Sintonizzai Mtv e partirono i Pet Shop Boys, dio li perdoni, con “New York City Boy”, quella che promette: non avrai mai un giorno di noia. Rimasi attonito ad ascoltarla fino alla fine, e ce ne vuole di malinconia. 
Cambiare tanto, forse troppo, significa non tenere più insieme niente. Dimenticare per poter proseguire. Se ti manca una città , o una persona, puoi crearle un posto nel tuo cuore, ma con sei ti si sfondano le pareti dei ventricoli. E poi ogni volta che cambi residenza cambi anche tu e se torni nessuno ti riconosce, non veramente. I tuoi compagni di scuola che non si sono mai mossi dalla città  dove sei nato continuano a guardarti cercando le tracce di quello che eri, di un’evoluzione che non hanno condiviso, riesumano aneddoti che proprio non rammenti perché non avevi più spazio nel file di quel gran casino che è stata la tua vita e hai cancellato la prima liceo. O hai fatto delle scelte e tenuto soltanto quel con cui potevi convivere: istinto di conservazione è anche tradire la memoria con l’indifferenza. Gli expats con cui hai bevuto tremendi liquori contraffatti nelle feluche lungo il Nilo hanno cambiato altrettante città , per un po’ vi siete inseguiti via mail da Istanbul a Shanghai, poi sono mutati anche gli account e quella era comunque la scusa per staccarsi. Così torni in gusci vuoti che assomigliano troppo a se stessi e ti segnano il tempo trascorso. Le città  che hai lasciato sono ombre di meridiane sul tuo volto, più profonde delle rughe che ti aspettano al varco. Smetti di frequentarle. Vai avanti. 
“Che ci fai a Milano?”.
Era la prossima tappa (unisci i puntini, qualcosa apparirà ), era un posto come un altro, era l’Everest che era lì e allora: su. Un giorno mi ricorderò del tram della linea 19 che passava sferragliando nella neve, di quelli che ballavano il tango a mezzanotte dietro Piazza Affari, delle russe con gli uomini orrendi al bar di corso Sempione, o forse quello era a rue Monot, a Beirut. Vuoi sapere, davvero, di che cosa ho nostalgia? Di quello che non è mai accaduto. Del campus di una università  della California dove non ho studiato, della casa con vista sulla Table Mountain che non ho mai arredato, del prossimo luogo dove andrò, con un bagaglio a mano, un passaporto valido almeno sei mesi e una ferma determinazione a non farmi mancare mai qualunque cosa lì possa esistere o accadere.


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