LA SCUOLA DELL’ iPAD SE LE NUOVE TECNOLOGIE FANNO RINASCERE I VECCHI MANUALI

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BASILEA – C’è anche Bianca Pitzorno tra i cinque scrittori in lizza per l’Hans Christian Andersen Award 2012, il più prestigioso premio internazionale per la letteratura infantile, assegnato ogni due anni. Oltre alla scrittrice italiana, nella rosa dei finalisti ci sono Mara Teresa Andruetto (Argentina), Paul Fleischman (Usa), Bart Moeyaert (Belgio) e Jean-Claude Mourlevat (Francia). In finale anche cinque illustratori: Mohammad Ali Beniasadi (Iran), John Burningham (Gran Bretagna), Roger Mello (Brasile), Peter Sìs (Repubblica Ceca) e Javier Zabala (Spagna). I vincitori saranno resi noti il 19 marzo alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna. Nella cyber-classe multistrato e multi-supporto, dove analogico e digitale cercano di convivere, nella scuola 2.0 ancora incompiuta, arriva uno strepitoso ritrovato tecnologico che mette d’accordo tutti, attenua il digital divide, fa dialogare didattica analogica e digitale. Si chiama “libro”. E ha più vite di un gatto. Il libro di testo come lo conosciamo, con un inizio e una fine, con pagine bianche e rettangolari e colonne di scrittura, capitoli, titoletti e indici, pareva ormai condannato a morte dall’irruzione, a velocità  imprevista, dei dischetti multimediali, dei laboratori interattivi in Rete, sembrava dover evaporare nella nuvola di Internet, ed eccolo invece tornare al centro dell’aula, trionfalmente arricchito dalle sue appendici multimediali, ma ancora riconoscibilissimo. Richiamato in servizio, ed è uno dei paradossi del nuovo che avanza, dall’ultimo dispositivo sceso in campo: il tablet. 
La notizia è che, dal prossimo anno scolastico, gli insegnanti potranno adottare libri di testo multimediali che “girano” anche sulle tavolette digitali. Apple ha presentato la sua libreria scolastica con clamore (e polemiche con gli editori) qualche settimana fa negli Usa, in Italia è l’editore Zanichelli ad allungare il passo mettendo in catalogo quattordici titoli, di cui tre per le medie inferiori, che spaziano dalle materie umanistiche a quelle linguistiche a quelle scientifiche (compreso l’ennesimo avatar dell’ormai ottuagenario Amaldi di fisica). Ogni studente che comprerà  il libro di carta avrà  in omaggio anche l’app con lo stesso libro da scaricare in versione per iPad o Android. 
In verità , anche se si tratta di testi nuovi di zecca, chi li userà  non ci troverà  nessun “effetto speciale” che non sia già  stato sperimentato nelle ormai sempre più diffuse versioni elettroniche dei testi di scuola: filmati, musiche, grafici, esperimenti ed esercizi interattivi, eccetera. La novità  non sta, per una volta, nella rivoluzione dei contenuti, ma nel problema di competizione-collaborazione tra supporti, che ormai s’impone in modo severo. Il tablet non troverà  aule con sola carta e lavagna, come accadde ai primi cd-rom: ma classi già  parzialmente convertite al multimediale. Andrà  ad aggiungersi, non a sostituirlo, al caos di “piattaforme” didattiche in uso. Vale la pena non scordare qualche dato sull’arretratezza tecnologica delle famiglie italiane, quattro su dieci delle quali, pur avendo figli a scuola, non hanno Internet in casa e probabilmente neanche un pc. Gli editori sono obbligati per legge a fornire versioni elettroniche dei manuali, ma nessuna legge può obbligare gli studenti a comprarsi un laptop, figuriamoci un iPad. Per quanto riguarda i materiali di studio, dunque, una classe media italiana oggi somiglia a un sandwich con cinque o sei strati diversi: chi usa solo i libri di carta, chi infila il cd nel portatile, chi nel pc di casa, chi si collega online, per non parlare delle scuole fortunate che dispongono anche della Lim, la lavagna interattiva. 
In questo caos, l’arrivo del mobile textbook poteva aumentare l’entropia. Invece, a quel che sembra, potrebbe riportare miracolosamente la concordia. In formato tavoletta, i libri tornano infatti a sembrare libri: hanno pagine da sfogliare e le pagine hanno numeri, e quei numeri corrispondono alle pagine dello stesso testo nelle altre versioni, carta, cd, cloud. Quando il prof dirà  «ora leggiamo a pagina 34», chi con il dito umettato, chi con un clic, chi con un tap, tutti saranno in grado di arrivare allo stesso segno e di leggere le stesse cose, indipendentemente dall’attrezzatura. Frena dunque, in nome del “non uno di meno”, la corsa verso le modalità  più smaterializzate di consultazione, e la forma-libro si rivela quella che tiene insieme tutti, unificando «un ambiente didattico felicemente ibrido» come lo chiama Giuseppe Ferrari, direttore editoriale di Zanichelli. 
In verità  tutto lascia pensare che, nella lotta darwiniana tra supporti didattici, il libro su tablet sia quello più funzionale. Perché oltre a offrire comodità  nuove, non abolisce le vecchie abitudini. Un laptop non si può accendere in autobus per ripassare angosciati un capitolo prima dell’interrogazione, o togliere dallo zaino a ricreazione per copiare il compito del compagno di banco; la tavoletta non richiede la solennità  di “iniziare una sessione di lavoro”, si lascia sfogliare anche solo per qualche secondo, si fa sottolineare con un dito, annotare a margine come un taccuino, e durante la lezione non intromette uno schermo tra professore e studente, perché sta orizzontale sul banco come un quaderno. Alla fine, sembrerà  di essere tornati all’inizio: tutto il sapere dentro la vecchia tavoletta di cera degli scolaretti egizi.
Tuttavia, non accadrà  facilmente. Il libro di testo versione touch è in omaggio, ma la tavoletta bisogna ancora farsela comprare da mamma e papà , in sovraccarico netto al conto già  salatissimo dei libri. In Italia, anche dopo il balzo dovuto ai regali natalizi, i tablet in circolazione, aggeggi costosi, sono poco più di mezzo milione, la maggior parte dei quali in possesso di trenta-quarantenni che lo usano per lavoro. Devoti del cellulare, i ragazzi la tavoletta magica ancora la sognano. L’industria dei gadget elettronici spinge fortissimo per sbarcare nel nuovo mercato delle scuole, finora area riservata agli editori, eppure perfino negli Usa il tablet è per ora presente solo sull’1% cento dei banchi di scuola e sul 14% di quelli universitari. E se il governo indiano, forte di una base studentesca di qualche centinaio di milioni di ragazzi, progetta di farsi produrre piccoli tablet da 40 dollari per distribuirli nelle scuole, là  dove sono le famiglie a dover sborsare per l’acquisto, magari dopo aver appena accessoriato i figli con un portatile tradizionale, le previsioni di diffusione per i prossimi anni non superano il 25-30% nella fascia in età  scolastica. La cera era più alla portata di tutti.


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