Lavoro, il governo va avanti. No della Cgil
ROMA — Cade il totem dell’articolo 18, per tutti e non solo per i nuovi assunti, nonostante il no della Cgil, che ieri ha annunciato la mobilitazione generale. Il governo dei tecnici lo ha abbattuto dopo due mesi di discussioni insieme a una riforma del mercato del lavoro che il premier Mario Monti ieri ha definito «equa e in grado di attirare gli investitori che ora non hanno più alibi». Oltre a una maggior flessibilità in uscita, ci sarà una forte riduzione dell’uso del precariato e una radicale revisione degli ammortizzatori sociali. Per il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia si tratta «di un passaggio storico, una decisione epocale». Forte dell‘endorsement del Quirinale e preoccupato dai tempi lunghi del negoziato, Monti ieri pomeriggio ha deciso di rinunciare all’accordo: «Ci sarà un verbale che registra le posizioni di tutti, e giovedì si chiude». Quindi due giorni di tempo per scrivere i testi in modo definito accogliendo gli ultimi suggerimenti — certa l’azione degli imprenditori per cercare di ridurre il tetto di 27 mensilità come indennizzo in caso di licenziamento — poi domani sera la riforma sarà blindata dopo un ultimo incontro con le parti sociali previsto per le 16. La settimana prossima verrà varata da un Consiglio dei ministri e poi andrà in Parlamento. Da decidere ancora se lo strumento sarà un decreto o una legge delega, una decisione da concordare con il capo dello Stato Giorgio Napolitano «già informato del buon esito della trattativa».
Monti, accanto al ministro del Lavoro Elsa Fornero, nella conferenza stampa finale, è stato chiarissimo. «Non ci sarà accordo con le parti sociali, con loro c’è stato un importante dialogo ma non vogliamo ripetere una concezione consociativa». «Il mancato consenso della Cgil — ha spiegato ancora il presidente del Consiglio — mi dispiace e preoccupa, ma a un certo punto ci siamo trovati nella situazione che se avessimo avuto il suo benestare avremmo perso quello degli altri. Tutti noi, Cgil compresa, ci siamo mossi nella convinzione di servire i lavoratori del Paese».
La reazione del maggiore sindacato del Paese, che ha ingoiato tre mesi fa la riforma delle pensioni con appena tre ore di sciopero, non si è fatta attendere molto. «La Cgil farà tutto ciò che serve per contrastare questa riforma — ha dichiarato il segretario Susanna Camusso — farà le mobilitazioni necessarie, non sarà una cosa di breve periodo». La teoria della Camusso è che con questa «formulazione si favoriscono i licenziamenti facili, dopo le pensioni saranno ancora i lavoratori a pagare». Oggi si terrà un direttivo dedicato alle azioni di lotta con la Cgil a capo dunque di una rivolta e di un dissenso con «tensioni sociali — ha detto la Camusso — da non sottovalutare». Il livello dello scontro dipenderà anche dai dettagli con cui verranno scritte le norme. Rotto anche il fronte sindacale. L’escamotage del verbale ha fatto cadere l’impegno dei quattro sindacati (Cgil-Cisl-Uil-Ugl) a non rompere il fronte unitario nel caso di un disaccordo. La stessa Camusso lo riconosce: «Il fatto che avevamo una ipotesi comune e l’abbiamo abbandonata è un problema».
Per il segretario della Cisl Raffaele Bonanni «il mio sindacato si assume la responsabilità sulla riforma del mercato del lavoro per non lasciare solo il governo a decidere come ha fatto con le pensioni» e sottolinea che l’idea del verbale «evita rotture sindacali profonde». I tamburi di guerra evocati dalla Camusso preoccupano Marcegaglia che ieri sera si è rivolta alla sindacalista ricordando che «tutti hanno auspicato una adesione della Cgil però ora ci aspettiamo da un grande sindacato senso di responsabilità ». Anche la politica è intervenuta a caldo per commentare questo colpo di scena. «Mi auguro che nessuno voglia irresponsabilmente suonare trombe di guerra» ha scritto su Twitter il leader Udc Pier Ferdinando Casini. Un po’ deluso il segretario del Pd Pierluigi Bersani che ha confidato fino all’ultimo nella capacità di Monti di strappare l’accordo e che spera «sia il Parlamento a pronunciarsi chiaramente per decidere quello che c’è da migliorare». È stata la Fornero a illustrare la portata di questa riforma «fatta per i giovani, contro il precariato e che sarà completata da una serie di interventi per far rispettare le quote rosa anche nelle società partecipate e nelle istituzioni». In sintesi: da subito cade la protezione dell’articolo 18 per i casi di licenziamento per motivi economici (solo indennizzo economico); toccherà al giudice stabilire reintegro o indennizzo per i licenziamenti disciplinari mentre resta la vecchia impostazione per quelli discriminanti. Poi forti penalizzazioni per chi punta ancora sui precari e dal 2017 nuovi ammortizzatori sociali.
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