«È sicuro, ce la faremo» I due militari non cedono

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KOLLAM (India) — Ritti dietro lo steccato degli imputati, in fondo all’aula, nella posizione più lontana dal presidente del tribunale e dal ritratto di Gandhi che osserva sospeso tra l’affanno dei ventilatori e il brusio dei neon. Tre-cinque minuti senza capire che cosa si stanno dicendo il giudice, gli avvocati, il pubblico ministero. Forse mai così soli, anche se tutto il team italiano stava facendo le acrobazie per evitar loro l’umiliazione del carcere. 
Il maresciallo Massimiliano Latorre, 44 anni, e il sergente Salvatore Girone, 34 anni, si sono tagliati i capelli e hanno regolato la barba. Sono un po’ provati, con il viso più affilato. Latorre ha un occhio più gonfio dell’altro. Non deve essere facile dormire. 
Ma restano militari, rigidi nelle divise mimetiche, con lo stemma rosso del Reggimento San Marco e i baschi scuri. Forse goffamente marziali, come Massimiliano quando stringe vigorosamente e a lungo la mano per un saluto, un arrivederci. «Ce la fate?» «Certo che ce la faremo. È sicuro, ce la faremo. Per mari e per monti». 
Ora sono, dovranno essere soprattutto uomini attesi da giorni difficili, da una prova di carattere, di coraggio per cui non servono fucili mitragliatori e binocoli di precisione. La stampa indiana li ha già  condannati senza appello. Nel migliore dei casi sono i «colpevoli», nel peggiore, «banditi italiani del mare». 
Il governatore dello Stato del Kerala, Oommen Chandy, ha fiutato che il «caso dei marò» cade bene nella campagna elettorale in corso e non passa giorno che non citi le «prove schiaccianti» a carico degli italiani, esigendo una «punizione esemplare». 
Ma quando alle tre e mezza del pomeriggio Latorre e Girone arrivano nel cortile del tribunale, scendendo dalle jeep Bolero della polizia, la piccola folla di curiosi, assiepata tra rottami di auto e liquami sospetti, li guarda e tace. 
Quasi tutti i giornali indiani, specie quelli locali, hanno vissuto con insofferenza «il trattamento speciale» riservato ai «colpevoli»-«banditi» italiani. Prima la «guest house» a Kochi, poi il «Police club» a Kollam. Infine le ironie sulla «dieta speciale». 
I marò hanno chiesto di mangiare cose italiane e la polizia non ha mai fatto problemi. Provvede a tutto l’addetto militare del Consolato italiano e sarà  così (lo ha accordato il giudice) anche nella nuova destinazione di Trivandrum. 
Comunque sia in quindici giorni nessuno si è presentato davanti ai cancelli a protestare. Almeno finora gli uomini e le donne di questo sperone di India (33 milioni di abitanti), a forte radicamento di cattolici e comunisti, non si sono fatti arruolare in una grottesca campagna antitaliana o, più semplicemente, «anti marò».
Massimiliano e Salvatore hanno una famiglia, esattamente come ce l’aveva Valentine, il pescatore di Kollam ucciso insieme al giovane Ajeesh non si sa ancora da chi.
In questi giorni i due militari si sono sentiti regolarmente con le mogli. Brevi telefonate, parole lontane. Casa Latorre è a Taranto, la famiglia Girone vive a Torre a Mare, vicinissimo a Bari. 
Il collegamento con la caserma di Brindisi non si è mai interrotto, grazie all’ufficiale che è arrivato quindici giorni fa, portando sigarette e i tarallini pugliesi con i semi di finocchio. E che da allora ha condiviso ogni momento della custodia preventiva, dei trasferimenti sotto scorta, delle udienze in tribunale. Sarà  così anche adesso, sotto l’autorità  del carcere di Trivandrum.


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