«Fattore D» al centro della politica per rilanciare l’Italia in Europa

Loading

Sono nate associazioni, centri studi, iniziative di formazione: la qualità  del dibattito pubblico italiano sul «Fattore D» ha ormai raggiunto gli standard europei. Sul piano pratico la situazione è tuttavia meno rosea. L’indicatore che meglio riassume il divario fra buoni propositi e realtà  è il tasso di occupazione femminile. Fra il 2005 e il 2007 eravamo saliti dal 45,3% al 46,6%: ancora venticinque punti sotto la media Ue-15, ma almeno in via di recupero. Dal 2009 il tasso ha invece ripreso a scendere. C’è la crisi, d’accordo. Ma negli altri Paesi l’occupazione femminile ha tenuto, in Germania è addirittura aumentata. L’Italia invece si muove come il gambero: due passi avanti e uno indietro. 
Che cosa c’è che non funziona? La risposta è semplice: le politiche pubbliche. Quelle «vecchie» sono insufficienti, lacunose e poco efficaci. Quelle «nuove» sono oggetto di dichiarazioni programmatiche perlopiù rituali, che poi non riescono a tradursi in pratica. Sappiamo che vi sono enormi vincoli finanziari, che è difficilissimo reperire risorse per costruire nuovi asili, espandere i servizi sociali, aumentare gli assegni per i figli o introdurre crediti fiscali per le madri che lavorano. Ma non è solo una questione di soldi. Il problema principale è questo: l’agenda donne non è (ancora) stabilmente ancorata al nucleo centrale della nostra politica economica e sociale. È percepita e trattata come un accessorio, del quale occuparsi «dopo» o «di lato», perché in fondo meno essenziale di altri obiettivi. Questo approccio stride in misura crescente non solo con le acquisizioni del dibattito nostrano, ma anche con gli orientamenti e le stesse prescrizioni europee. Da Lisbona in poi l’Unione europea non ha smesso di ripetere che l’occupazione femminile è uno dei più promettenti volani di crescita, soprattutto per quei Paesi, come l’Italia, che sono rimasti indietro e dunque possono sfruttarne ancora tutto il potenziale.
Mario Monti e i suoi ministri (in particolare Fornero e Passera, viste le loro responsabilità ) avrebbero tutte le carte in regola per imprimere una svolta e innestare l’agenda donne nel cuore strategico dell’azione di governo. Nei primi cento giorni i segnali sono stati piuttosto deboli: l’unica misura rilevante è stata l’agevolazione fiscale per le imprese che assumono donne. E sorprende che l’occupazione femminile (incluso il tema della conciliazione) non figuri in modo più esplicito ed autonomo tra i punti attualmente in discussione per la riforma del lavoro. C’è ancora tempo per recuperare, ma occorre agire in fretta. 
Fra poche settimane il governo dovrà  presentare a Bruxelles il nuovo Programma Nazionale di Riforma. È innanzitutto in questo documento che dovrà  avvenire l’innesto, ponendo il lavoro delle donne al centro delle proposte per la crescita inclusiva dell’Italia nei prossimi anni, con obiettivi precisi e impegni cadenzati nel tempo.
Nel rispetto delle compatibilità  finanziarie, sarebbe poi auspicabile (anche sul piano simbolico) che alcune prime misure venissero introdotte già  nel 2012. Elsa Fornero ha ripetutamente accennato alla riforma dei congedi parentali: è un terreno promettente, sul quale peraltro vi sono margini per modifiche a costo zero o quasi. Nel 2007 la Germania ha consentito la possibilità  di fruire dei congedi a tempo parziale: provvedimento apprezzatissimo non solo dalle madri ma anche dai padri (la percentuale di congedi maschili è triplicata in quattro anni). Un altro versante su cui agire è quello degli incentivi ai servizi alla persona. In Francia l’introduzione di agevolazioni fiscali mirate ha creato in pochi anni mezzo milione di nuovi posti di lavoro, moltissimi nel cosiddetto «artigianato terziario».
Vi è infine una terza direzione verso cui muovere. Per sottrarre l’agenda donne alle oscillazioni e discontinuità  della politica, sarebbe utile creare (come in altri Paesi) un organismo indipendente che funga da perno di elaborazione e valutazione delle politiche a sostegno delle donne, nonché di articolazione dei loro interessi. In Spagna l’Instituto de la Mujer ha svolto un ruolo fondamentale nella modernizzazione del mercato del lavoro e del welfare a favore delle donne. Un altro ente inutile? Il rischio c’è. Ma se si parte con il piede giusto, una soluzione di questo genere potrebbe garantire al «Fattore D» quella visibilità , stabilità  e centralità  politica che è finora clamorosamente mancata, relegandoci quasi sempre agli ultimi posti delle classifiche europee.


Related Articles

Europa e Africa, accordo sui migranti

Loading

Processo di Khartoum. Campi per i profughi in Africa gestiti da Unhcr e Oim. Ma c’è chi teme la nascita di nuovi ghetti

«Tortura, vergogna senza fine. Ma per l’Italia non esiste il reato»

Loading

Intervista a Christopher Hein
Il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati nella Giornata internazionale dell’Onu «Un rifugiato su quattro, di quelli che arrivano in Italia e in Europa è vittima di tortura». «Dopo due decenni, Roma non ha ancora ratificato il protocollo Onu sulla tortura che pure aveva firmato»

Razzismo, a Como sputi e insulti su una cestista di colore del Sesto

Loading

Razzismo, a Como sputi e insulti su una cestista di colore del Sesto Abiola Wabara

Abiola Wabara, italiana figlia di nigeriani tesserata per la Geas (serie A), è stata bersagliata dai tifosidella formazione di casa. Il suo presidente aveva chiesto invano all’arbitro di sospendere la partita

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment