«Ho sposato una spia» La vita impossibile delle mogli degli 007

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WASHINGTON — La persona che incontro ha lavorato con «quelli dall’altra parte del fiume». Una frase che allude a un mondo impenetrabile. «Quelli» sta per la Cia, il fiume è il Potomac che attraversa Washington. Ed è dunque l’uomo adatto a parlare di un tema lanciato ieri sulle pagine del Washington Post: i divorzi per chi lavora nell’intelligence. Non ci sono dati ufficiali disponibili e anche se esistono non li pubblicano. C’è la privacy, in questa situazione doppia visto che ci sono di mezzo i servizi. Di sicuro, afferma il giornale, sono tanti. «Confermo — ammette la fonte — e mi baso sulla mia esperienza diretta: su una decina di persone che ho conosciuto quasi la metà  ha divorziato». E la causa è stata proprio il lavoro. 
«Se sei un professionista — continua il nostro interlocutore, oggi in pensione — per molto tempo non racconterai a tua moglie nulla di quello che fai». Un segreto spesso difficile da sostenere. Lei giustamente chiede, vuole sapere. Lui resta nel vago, spesso nascondendosi dietro un inesistente posto «al Dipartimento di Stato» o una «società  di consulenza» ospitata nei palazzi tutto vetro a Tyson Corner, Virginia. Una finzione che può durare per anni, anche se poi c’è un momento dove lo 007 finalmente ammette cosa fa. Qualcuno, rompendo le regole di sicurezza, può rivelarlo molto prima così evita danni tra le pareti di casa. «Dovete poi pensare — spiega la nostra fonte — all’impatto psicologico. Vivere per anni senza raccontare del tuo vero lavoro crea problemi seri. È facile cadere nella depressione. E così nascono contrasti o dissidi, si perde la fiducia l’uno nell’altro». Le cose rischiano di andare ancora peggio per chi è assegnato all’estero e non può portarsi dietro la famiglia. La lontananza — lunga o breve che sia — alla fine spacca l’unione. Ci sono anche situazioni alla «Mr and Mrs Smith», con entrambi che fanno le spie. In certi momenti può aiutare, in altri meno. C’è il rischio che il lavoro ti «insegua» ovunque, anche quando sei seduto per la cena. Se poi uno lascia il servizio, l’altro (in teoria) non può certo informarlo su quale sia la sua missione. È tuo marito ma non è più un collega.
Nell’articolo il Washington Post cita dei casi dove lo 007, un po’ cinico — ma che agente sarebbe se fosse anche sentimentale — ha usato la sua famiglia come schermo per qualche operazione. Quale migliore quadretto di papà  (agente), moglie e figlia che seguono personaggi sospetti. Mary, nome di fantasia, ha raccontato al giornale la sua storia. Ha conosciuto il futuro compagno nel 2005 grazie a un sito per single. Condividono passioni e interessi. Poi il lato oscuro che emerge, quando lui si toglie la maschera: «Sono una spia». Vanno in viaggio per sposarsi ma mentre sono sul jet che li riporta a casa lei si accorge che il marito tiene d’occhio altri passeggeri. È una missione? Anche la luna di miele era in qualche modo una copertura? Il marito non le risponde, anzi continua con il «gioco». Tanto che si porta dietro moglie e figlioletta di un anno per studiare le reazioni di un informatore. Non può durare e le strade dei due si sono divise con un divorzio. Anche quello in qualche modo nascosto. Perché, come sottolinea il quotidiano, le carte sono coperte dalla riservatezza, solo gli intimi sanno.
Un riserbo che accompagna anche la politica della Cia nei confronti delle spie sotto stress. Esiste un consultorio che assiste le famiglie nei momenti difficili — compresa la morte in servizio di un agente — e cerca di aiutarle. Il suo intervento, tuttavia, non è automatico. E nella storia di Mary ne sono rimasti fuori. O almeno è ciò che sembra. La «compagnia» non è un consigliere spirituale, però deve badare che nelle liti tra marito e moglie volino via solo gli stracci e non qualche informazione top secret.


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