«I rigger: né operai, né elettricisti»

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«Spiegare il lavoro che facciamo ad un commercialista o a un consulente – sostiene Cristiano Cenci, rigger e tecnico luci, socio fondatore della cooperativa Creastage e membro del collettivo degli operai dello spettacolo live, nato a Roma dopo la morte di Francesco Pinna sul palco di Jovanotti a Trieste – è stata un’impresa. Ci ho messo due anni per chiarire che non siamo edili né elettricisti». Il rigger è un «freelance», che in Italia viene tradotto malamente come «libero professionista», ma non può essere considerato alla stregua di un commercialista o un avvocato. «Sei autonomo – riflette Cristiano – di decidere se lavorare o meno, perché quando lavori non sei più libero. Tempi e modi vengono imposti dal committente». Di liberi professionisti, nello spettacolo dal vivo, ce ne sono pochi. Solo qualche figura professionale, come i light designer o gli ingegneri del suono, hanno un potere decisionale sul lavoro che alla maggior parte è preclusa. Sono lavoratori subordinati, anche se raramente sono assunti. 
Quando dal vertice della piramide dell’impresa a rete si apre una ragnatela di rapporti di lavoro più o meno formalizzati, non è detto che il livello superiore sappia ciò che fa la base. Le catene degli appalti e dei sub-appalti permettono al produttore di una star di ignorare quale contratto un service ha siglato con un tecnico luci e tanto meno quello che un facchino firma con il promoter locale (quando lo fa). Per gli operai dello spettacolo si potrebbe invece individuare un unico committente, stabilendo per legge l’obbligo di contrattualizzare i prestatori d’opera per la durata del lavoro (come accade per cinema, teatro o Tv). Le produzioni assumerebbero la responsabilità  del committente unico, condividendola con gli artisti con i quali lavorano. «È nel loro interesse – afferma Cenci – Un artista deve sapere cosa succede nel cantiere». 
Un inquadramento contrattuale dei lavoratori permetterebbe inoltre il riconoscimento delle mansioni, la durata della giornata lavorativa e degli straordinari, una rappresentanza che verifichi le condizioni di sicurezza insieme alla produzione e alla commissione di vigilanza. «Intendiamo creare una convergenza di interessi collettivi tra i lavoratori – spiega Cenci – Non ha senso mettersi in un’unica categoria con i datori di lavoro». Una prospettiva che va nella stessa direzione intrapresa da tempo dallo spettacolo dal vivo: la fuoriuscita dal lavoro nero o informale attraverso l’organizzazione in cooperative. Le cooperative non possono però produrre utili. Chi ha deciso di costituirne una, ed è il caso di Cristiano insieme ad altri 14 colleghi, è diventato il datore di lavoro di se stesso, ma si trova nella situazione schizofrenica di chi è stato costretto a creare un impresa per poi assumersi. E questo genera un equivoco rispetto al pagamento delle fatture. Perchè il rigger vive del proprio lavoro, ma i suoi committenti lo pagano dopo 90 giorni o anche dopo un anno. Al contrario dei normali imprenditori, i lavoratori non riscuotono gli interessi sul ritardo dei pagamenti. Una regolamentazione dei rapporti con i committenti, e un rafforzamento del loro potere contrattuale, permetterebbe di essere autonomi, evitando che una legge calata dall’alto ingessi le reali articolazioni del live-show. 
Il riconoscimento degli operai dello spettacolo come freelance prestatori d’opera che vivono periodicamente una condizione subordinata è il primo passo per definire una condizione comune, sia che lavorino in cooperativa o in maniera occasionale.


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