L’ideologia dei tecnici non ha nulla di neutrale

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La riforma presenta aspetti interessanti, riconosciuti da tutti, anche dalla Cgil. Perché resistere in questo modo e mettere a repentaglio un risultato importante, creando difficoltà  al Pd e rischiando persino una crisi di governo? Credo che la risposta sia semplice ed evidente: perché nella scelta del governo si esprime in modo del tutto legittimo, ma intransigente, l’ideologia di Monti e di Fornero (e uso questo termine in senso forte, non, debolmente, come «falsa coscienza»). Un’ideologia assai potente, presentata come un elemento oggettivo, tecnico, ma imperniata su due elementi di fondo: il primato del mercato che deve essere lasciato libero di muoversi in modo spontaneo, senza interferenze esterne di qualunque genere esse siano; il rifiuto del principio della mediazione, da cui discende quello della «concertazione». Si discute con i sindacati o con i partiti, ma la responsabilità  di prendere la decisione è solo e soltanto del governo. «In passato si è dato troppo ascolto alle parti sociali», ha detto due giorni fa il presidente del Consiglio, ribadendo la non negoziabilità  della riforma del lavoro.
Si potrebbero citare molti esempi a conferma di questa ideologia: il ministro Fornero ha argomentato il rifiuto a una modifica dell’articolo 18 sostenendo che solo il padrone della fabbrica e non certo il giudice è in grado di stabilire se e quando licenziare un dipendente; il presidente Monti ha sostenuto che la Fiat deve ricordarsi di quanto l’Italia ha fatto per lei, ma può investire dove ed quando vuole.
Questo sul piano dei contenuti. Sul piano della forma il governo ha proceduto sia con le pensioni che con il mercato del lavoro in un modo altrettanto coerente con questa ideologia: intervenendo «dall’alto», con un atteggiamento di tipo «giacobino», senza un reale confronto con le parti sociali e le forze politiche con un netto rifiuto, come si è detto, della «mediazione», vista come origine di tutti i mali. In breve: si tratta di un’ideologia compatta, organica, della quale occorre prendere piena coscienza per capire dove il governo si propone di guidare la società  italiana. Un’ideologia confermata da quella battuta, a dire il vero raggelante, che il premier avrebbe rivolto a Camusso: «Dobbiamo avvicinare la Costituzione formale a quella materiale».
La domanda da porre, con spirito costruttivo, è questa: il governo Monti ha avuto, certo, meriti importanti ed è stato giusto favorire la sua nascita e sostenerlo, ma l’Italia ha bisogno di questa ideologia per riprendere a svilupparsi e crescere? È questo il riformismo di cui ha oggi bisogno il nostro Paese? Non si tratta di una ideologia di corto respiro strategico e soprattutto distante dalle esigenze reali dell’ Italia oggi?
Oggi l’Italia ha bisogno soprattutto di nuovi «legami» .Questione centrale e delicatissima, essa è ben presente anche ad alcuni dei «tecnici» che sono al governo (basta pensare ad Andrea Riccardi). Ma – e sta qui il punto discriminante fra vecchio e nuovo riformismo è alla luce dei diritti che vanno ripensati i nuovi «legami» da costruire nel nostro Paese. Senza diritti i «legami» diventano infatti una gabbia inaccettabile. Se mi è consentito usare un termine filosofico, i diritti costituiscono la dimensione «trascendentale» del processo storico e come tali, una volta acquisiti, non sono alienabili. Tra democrazia e diritti c’è un nesso diretto, organico.
Il nostro Paese, per la crisi da cui è attraversato, oggi non ha bisogno di interventi che favoriscano la divisione, la contrapposizione tra individui, classi, ceti; non necessita di provvedimenti che contrappongano, in fabbrica, capitale e lavoro. Ha bisogno di politiche che generino coesione, riconoscendo un ruolo ai corpi intermedi. Si tratta di scelte sempre opportune, che diventano addirittura indispensabili in tempi di crisi come questi.
La cultura della mediazione è fondamentale per la democrazia: attraverso di essa si esprime
la possibilità , e la capacità , di misurarsi positivamente con le contraddizioni della realtà  e di trovare, volta per volta, un punto di equilibrio, in grado di sospingere avanti l’insieme del sistema sociale e politico. E la mediazione nel senso forte del termine implica il concetto di politica, mentre l’ideologia dei «tecnici» si pone, volutamente, al di fuori della dimensione sia della mediazione che della politica. Si può dire che l’idea stessa di riformismo moderno per alimentarsi ha bisogno di mediazione cioè di partiti e di diritti.
Al fondo, si confrontano due prospettive diverse, entrambe legittime. Converrebbe cominciare a parlarne, confrontandosi in modo aperto anche per ridare respiro e dignità  alla politica. Come sapeva già  Tocqueville, che era un liberale: «Con l’idea dei diritti gli uomini hanno definito ciò che sono la licenza e la tirannide… senza rispetto dei diritti non vi è grande popolo; si può quasi dire che non vi è società ».


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