«La peste italiana contagia l’Europa»

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«La peste della malagiustizia italiana ha valicato le Alpi e contagiato le istituzioni internazionali, in particolare quelle europee. Tanto da indurre la Gran Bretagna a proporre una restrizione delle modalità  di ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, intasata dai processi pendenti sull’Italia». L’allarme è stato lanciato ieri dalla vicepresidente del Senato, Emma Bonino, durante la conferenza stampa tenuta alla Camera dai Radicali per annunciare che la «Seconda marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà » inizialmente prevista per il giorno di Pasqua si terrà  a Roma il 25 aprile, giorno della Liberazione. «Un modo per valorizzare quella data, perché se i valori conquistati non li difendi ogni giorno nel contesto attuale, rischi che ti svegli un bel giorno e non ci sono più».
Presidente Bonino, dunque i problemi della giustizia italiana diventano europei?
Prendendo spunto dai 150 mila casi pendenti di fronte alla Corte europea, la presidenza di turno britannica del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa propone una modifica della Convenzione europea dei diritti umani e di conseguenza della Corte, in modo da renderne più difficile l’accesso. Dobbiamo sapere che dal 1959 al 2010, la Corte ha condannato l’Italia 2.121 volte. Più di noi solo la Turchia, con 2.573 violazioni, mentre la Russia ne ha solo 1.079. Riguardo invece l’irragionevole durata dei processi, l’Italia balza al primo posto con 1.139 violazioni, tanto che nel 2010 il Comitato dei ministri ha sottolineato per il nostro Paese il «grave pericolo per lo stato di diritto» che si materializza nella «negazione dei diritti sanciti dalla Convenzione». Purtroppo davanti a questi moniti e sanzioni l’Italia fa spallucce. L’8 marzo scorso, il Comitato dei ministri ha di nuovo richiamato l’Italia sulle carceri, sulla durata dei processi e sui risarcimenti, perché il numero dei ricorsi è raddoppiato negli ultimi tre anni (da 7.150 a 13.750)facendoci passare dal quinto al terzo posto, dopo la Russia e la Turchia. Infine, oltre ai ricorsi, abbiamo più di 2000 processi pendenti.
Sicché l’Inghilterra ha pensato bene di proporre la restrizione del ricorso alla Corte europea…
C’è una riunione ministeriale il 19 aprile a Brighton dove la Gran Bretagna andrà  con questa proposta. Io ho presentato un’interpellanza per sapere quale posizione intende prendere il nostro governo in merito. È una proposta che va fermata perché davvero inconcepibile, soprattutto per i Paesi dove lo stato della giustizia è comatoso. E poi perché sono già  in corso riforme operative stabilite dal protocollo 14 e che stanno dando buoni frutti. In ogni caso, una cosa è migliorare l’efficienza, altra è limitare il ricorso. 
Anche la vicepresidente della Commissione europea, Viviane Reding, ha ricordato oggi che la lentezza dei processi costano all’Italia un punto di Pil. Il problema della giustizia non è prioritario per la nostra immagine in Europa?
Questo è un cancro ormai evidente in tutto il mondo. Non solo perché lo dice l’Europa ma anche perché il cattivo funzionamento della giustizia costa alle imprese 2,3 miliardi di euro, e il costo della giustizia in Italia supera i 4 miliardi di euro contro i 3,3 della Francia e i 2,9 della Spagna: 70 euro per abitante da noi a fronte dei 56 della Francia dove la durata media di un processo civile è della metà . Quindi l’immagine italiana è ormai anche quella del crollo istituzionale. La malagiustizia blocca lo sviluppo economico di questo Paese. 
I famosi investitori esteri che Monti va cercando anche nell’estremo oriente, saranno più scoraggiati da questo che dall’articolo 18, o no?
Sull’articolo 18 la penso diversamente da voi del manifesto, ma sì, è così. Da noi ci vogliono in media mille giorni perché una causa civile prenda il via in primo grado. In più la giustizia civile ormai è una giustizia per censo: se hai soldi otterrai la prescrizione, altrimenti no. 
A proposito di prescrizioni: 500 al giorno, 165 mila annue che costano allo stato 85 milioni di euro l’anno.
Un amnistia l’anno. Non regolamentata. 
Lei stessa però ha ammesso che, come al tempo della Prima marcia per la giustizia del 2005, anche quest’anno si è raggiunta un’aggregazione molto importante attorno alla proposta di amnistia ma poi non si riesce a smuovere le cose. Perché?
C’è una specie di barriera dovuta al fatto che l’amnistia è un provvedimento troppo impopolare. Mi chiedo però che leader politico è quello che deve solo seguire un’ondata di popolo?
C’è anche chi, come il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, sostiene che per l’amnistia non c’è la maggioranza qualificata necessaria e che la colpa della lungaggine dei processi è della prescrizione facile. 
Sono argomenti che si ripetono da tempo. So anch’io che ci sono leggi da riformare urgentemente – la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi, innanzitutto – ma non c’è la maggioranza nemmeno per fare questo. L’amnistia, che non è solo un atto di clemenza, è prevista dalla Costituzione proprio per dei casi di emergenza come questo. È chiaro che si continua ad agitare uno spauracchio e se questi dati che voi pubblicate non diventano la base di un confronto pubblico, l’opinione pubblica non crescerà  mai in consapevolezza. Anche le leggi sull’immigrazione e sulle droghe seguono l’ondata populista. Col risultato che le carceri oggi si riempiono della cosiddetta «spazzatura sociale». Ammesso poi che si condivida la proposta di Vietti e che si riesca ad eliminare le 500 prescrizioni al giorno, rimangono tutti gli altri problemi, a cominciare dal numero di processi aperti. 
Arriviamo alla marcia per l’amnistia e la giustizia: avete scelto il 25 aprile. Ma non si rischia di sminuire così il significato della festa della Liberazione?
No al contrario. È una valorizzazione. I valori fondanti della Repubblica italiana, che sono la giustizia e la libertà , devono essere difesi anche oggi. Ma se il carcere diviene strumento di privazione della dignità  e se per i detenuti l’habeas corpus non esiste più, allora c’è un deficit di democrazia.


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