«Modello francese? Per noi è tardi»

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BUSSOLENO (Torino) — C’è stato un tempo in cui era ancora possibile parlarsi, e magari decidere insieme. Come succede dall’altra parte delle Alpi, che è appena dietro l’angolo delle montagne, ma sembra un altro mondo. 
Noi siamo qui a discutere, a scannarci non solo per metafora. E sulla piazza del Castello dei Savoia di Chambery il sindaco Bernadette Laclais ci accoglie con un sorriso di compatimento mentre sorseggia l’aperitivo della domenica. «La Torino-Lione? Ma ormai è acqua passata, abbiamo discusso, ci siamo messi d’accordo e abbiamo preso una decisione. Cosa vuole che le dica, tutta la fase del dibattito pubblico l’ha seguita il mio predecessore. Sa, non è una cosa avvenuta ieri…».
Torniamo dall’altra parte, alle nostre guerre quotidiane. Luigi Casel, consigliere comunale di Bussoleno e capo dell’ala più radicale della protesta, strabuzza gli occhi a sentir parlare del provvedimento allo studio del nuovo governo per le opere pubbliche. Come anticipato dal Corriere della Sera, si tratta di nuove regole ispirate ai principi vigenti in Francia, dove è prevista una fase preliminare lunga almeno sei mesi e chiamata Dèbat public. Serve a confrontare opinioni diverse, a informare i cittadini, a raccoglierne i suggerimenti, ben prima dell’approvazione del progetto definitivo. 
«Forse sarebbe servita» dice Casel. «Anche se ad essere sinceri noi eravamo, siamo e rimarremo sempre contrari alla Tav. Comunque in Francia lo fanno davvero, non solo sulla carta. Sulla Tav non si sono limitati a parlare di compensazioni, perché ci sono anche questioni non compensabili. Facciamo un esempio: Lanslebourg era il paese dove sarebbe sorta la discarica per la terra di riporto del tunnel. Il prefetto ascoltò le proteste degli amministratori, capì che avevano ragione loro, e non se ne fece nulla». 
Certo, ormai c’è anche un elemento irrazionale nell’avversione del movimento No Tav all’alta velocità . Ma questo sentimento non può prescindere da quanto accadde alla fine degli anni Ottanta, quando venne inaugurata la A32 Torino-Bardonecchia, l’autostrada diventata celebre in questi giorni per via degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Una storia di promesse mancate, di indennizzi che lo Stato lasciò solo intravedere alle popolazioni. 
Sandro Plano, il presidente della Comunità  montana considerato ormai alla stregua di Iago da parte del suo Partito democratico, non è magari la persona giusta per parlare del passato, perché di mestiere fa il dirigente della Sitaf, la società  che gestisce la A32. Ma proprio per questo va considerato un tecnico, che ha molte riserve su una legge italiana ispirata al Dèbat public. «Noi abbiamo procedure che se applicate correttamente possono garantire sia gli amministratori locali che i cittadini. Abbiamo anche noi i nostri metodi di consultazione. Semplicemente, non sono stati usati nel modo giusto. Lo stesso Monti ha detto che presto verrà  pubblicata l’analisi definitiva costi/benefici della Tav. In Francia, invece, è stata proprio quella la premessa a ogni discussione». 
In questi anni sono tante le persone che hanno pagato un prezzo. Antonio Ferrentino rientra in questa categoria. Fino al 2007 il sindaco di Sant’Antonino di Susa era il leader dei No Tav, poi accettò il confronto con l’Osservatorio sulla Torino-Lione, decisione che gli viene rinfacciata come un peccato mortale. «Abbiamo fatto molti incontri con i francesi, provando sempre sincera invidia nei loro confronti. In quei sei mesi, il cittadino può addirittura consultare il progetto ancora in fase di studio. Noi siamo imprigionati dalla legge obiettivo 443 del 2001 che consegna ogni potere al governo centrale, saltando a piè pari la consultazione delle amministrazioni locali».
L’Osservatorio sulla Tav presieduto dall’architetto Mario Virano è arrivato dopo, quando un primo e burocratico progetto era già  passato sulla testa dei valsusini. Dice Ferrentino che non è possibile paragonare il lavoro di questo organismo al Dèbat public, si tratta di due entità  e due fasi diverse. Concorda anche Plano, che pure vede in Virano la sua nemesi storica. «La mancanza di dialogo iniziale non dipende certo da lui, che non c’era neppure. Nel 2005 anch’io ero favorevole all’Osservatorio, per la sua funzione di camera di compensazione. Ne contesto invece la sua progressiva trasformazione in organo politico». 
Andando a ritroso, i giudizi diventano sempre più lapidari. Quello di Luigi Casel sull’Osservatorio non è neppure riferibile. «L’unica possibilità  di dialogo con la popolazione della Val di Susa è legata alle dimissioni di Virano e al blocco di sei mesi del cantiere, per consentire un confronto tecnico. Altrimenti è inutile prenderci in giro». C’è stato un tempo, ma era molto tempo fa.


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