L’Onu: «Un’operazione Nato impensabile»

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Finalmente due parole sensate: «Un’operazione Nato in Siria è impensabile». A dirlo il presidente della Commissione Onu di inchiesta sulla Siria, Paulo Sergio Pinheiro, in un incontro con la stampa ieri a Bruxelles. «Pensiamo che un intervento militare non avrebbe successo: le vittime non sarebbero centinaia ma migliaia. Cerchiamo di essere più sobri su questo punto. La comunità  internazionale deve dare il suo pieno sostegno a Kofi Annan». Per Pinheiro, alcuni Stati «dovrebbero astenersi dal praticare lo “scetticismo automatico”» verso la missione di Annan, appena all’inizio, perchè «l’unica soluzione è il dialogo». Senza contare poi che le forze armate in Siria «non sono un’armata Brancaleone», come potevano essere quelle libiche «e la catena di comando è rimasta intatta» dopo un anno di rivolta (nonostante le notizie ricorrenti sulla diserzione di qualche generale). «Aumentare la militarizzazione e fornire armi non è una soluzione», ha aggiunto Pinheiro, riferendosi all’eventuale rifornimento di armamenti all’opposizione. «Per noi quello che rimane centrale – ha concluso – è la protezione dei civili» e quindi puntando sul cessate il fuoco e sull’accesso degli aiuti umanitari. I primi due punti su cui sta lavorando Kofi, con il terzo a seguire: negoziati fra tutte le parti del conflitto.
Le stesse parole del segretario generale Ban Ki moon: governo e opposizione (attenzione: anche l’opposizione) fermino le violenze e cooperino con Kofi Annan per trovare una soluzione negoziata alla crisi. Appello anche di 200 gruppi che si occupano di diritti umani, alla «comunità  internazionale» perché «si unisca» (ossia a Russia e Cina perché rinuncino a veti e distinguo) e «aiuti i siriani a metter fine all’orrore» e dia il suo «pieno sostegno» a Kofi. Per il momento una «missione umanitaria» formata da governo siriano, Onu e Oci (l’Organizzazione per la cooperazione islamica) inzierà  entro la settimana una visita in diverse città  siriane colpite dalla guerra (Homs, Hama, Deraa) per valutare la situazione. Il conflitto e le violenze che non cessano (anche ieri i morti sarebbero decine, secondo le fonti dell’opposizione) ingrossano il flusso di profughi siriani che cercano scampo nei paesi vicini: Libano, Giordania e soprattutto Turchia (dove sono già  più di 15 mila ma se ne temono addirittura mezzo milione). Un vicepremier turco, Besir Atalay, ha accusato Damasco di disseminare di mine le zone di confine. Affermazioni non confermate da fonti indipendenti. Tanto più che da anni le mine erano (o forse sono ancora) piazzate su entrambi i lati del confine.
Ieri era l’anniversario dello scoppio della rivolta, il 15 marzo 2011, e il regime – che si sta dimostrando più solido e tosto di quello gheddafiano – ha organizzato grandi manifestazioni a Damasco, Aleppo, Latakia e altre città  in appoggio ad Assad. Due giornalisti turchi «dispersi» sarebbero stati presi dalle milizie del regime Shabiha e passati all’intelligence siriana. Ieri, dopo Italia, Francia, Spagna, Usa, Arabia saudita e Bahrain, anche l’Olanda (in segno di «repulsione di fronte all’atroce violenza del governo siriano») ha chiuso l’ambasciata a Damasco. La guerra continua.


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