Mali, colpo di scena e di stato
Fino a ieri un turbillon di musica, danza, moda, turismo solidale e sostenibile, un profilo da paese al centro di un eventuale rinascimento africano, con personalità della cultura e della società civile coinvolte nell’azione di governo. Da oggi frontiere sigillate, coprifuoco su tutto il territorio nazionale, costituzione sospesa, istituzioni azzerate. Si riavvolge il nastro della storia, in Mali, con il colpo di stato militare architettato nella notte tra mercoledì e giovedì da un gruppo di giovani ufficiali dell’esercito.
I componenti della nuova giunta, guidata dal capitano Amadou Sanogo, sono apparsi in divisa ieri mattina alla tv. Il «Comitato nazionale per il risanamento della democrazia e la restaurazione dello Stato» (Cnrdre) ha annunciato la destituzione del presidente Amadou Toumani Touré e promesso «solennemente» di restituire il potere ai civili al termine dell’emergenza. Gli ufficiali avrebbero agito «per difendere l’unità nazionale», esasperati dall’«incompetenza» dimostrata dal governo nella gestione della ribellione armata dei tuareg nell’estremo nord del paese, riesplosa a metà gennaio.
I vertici dell’esercito si lamentavano da tempo dei mezzi «inadeguati» messi a loro disposizione per reprimere la rivolta nelle zone desertiche a nord di Timbuktu. Malgrado le forniture statunitensi di armi e istruttori militari, finalizzate a contrastare le infiltrazioni qaediste e islamiste in genere. E nonostante le accuse di bombardamenti indiscriminati sulle popolazioni civili (in appena due mesi i profughi sono decine di migliaia), piovute sul governo di Bamako sia da parte del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla) che da parte di Amnesty International.
Probabili pietre dello scandalo, una serie di disfatte militari camuffate da ritirate strategiche e i video diffusi dai miliziani di Anà§ar Dine (Difesa dell’Islam), che puntano a imporre la sharia nell’area a ridosso del confine algerino, in cui vengono mostrati i corpi di numerosi soldati maliani uccisi e decine di prigionieri. L’esercito avrebbe inoltre perso il controllo delle città frontaliere di Tinzawaten, Tessalit e Aguelhok. Una zona nella quale è attiva anche al Qaeda nel Maghreb islamico e dove sono 13 (6 i francesi) gli occidentali tenuti in ostaggio.
La recrudescenza del conflitto è in parte effetto collaterale della caduta del regime del colonnello Gheddafi, che da sempre accoglieva e addestrava i guerriglieri tuareg. Questi hanno ricambiato combattendo al fianco dell’esercito lealista libico fino alla disfatta. A quel punto hanno preso armi (molte armi) e bagagli per ritornarsene a casa. L’entrata in scena di 2-3 mila combattenti così bene armati e addestrati avrebbe quindi alterato gli equilibri. L’irritazione dell’esercito si era già fatta sentire ai primi di febbraio, con proteste che hanno visto entrare in scena anche le mogli dei soldati in varie città del paese, e saccheggi ai danni di cittadini tuareg (tradizionalmente abili negli affari e nei commerci) e di altre minoranze “chiare” (arabi e mauritani).
L’altro ieri c’è stato invece un ammutinamento nella guarnigione di Kati, a 15 km dalla capitale, dopo una visita del ministro della difesa che certo non deve aver calmato gli animi. Alcune decine di soldati si sono dunque diretti in città sparando colpi in aria. E armi in pugno hanno preso il controllo della radiotelevisione di stato (Otrm). Dopo diverse ore di scontri a fuoco con i «berretti rossi» della guardia presidenziale, l’annuncio alla tv della presa del potere. Il presidente Touré secondo alcune fonti sarebbe stato portato al sicuro, mentre il ministro degli Esteri Soumeylou Boubèye Maà¯ga e quello dell’Amministrazione territoriale Kafougouna Koné sarebbero agli arresti.
Oumar Mariko, leader dell’unica forza di opposizione in parlamento, il partito Solidarité africaine pour la démocratie et l’indépendance (Sadi), si è già detto disponibile a formare il governo di unità nazionale ventilato dai militari golpisti. La Francia, ex potenza coloniale, ha invece condannato il putsch e ha decretato lo stop a ogni forma di cooperazione finché non verrà ristabilito l’ordine costituzionale. Anche l’Unione africana condanna. Da Usa, Onu e Ue i rituali inviti «alla calma e al dialogo».
Alla guida di un paese vastissimo, un milione e 240 mila kmq di savana e deserto senza sbocchi al mare, con meno di 15 milioni di abitanti, Amadou Toumani Toure (ATT) è a sua volta un ex generale dell’esercito. Solo che il modo incruento con cui nel 1991 era riuscito a rovesciare il regime di Moussa Traoré e ad avviare la transizione lo aveva incoronato «soldato della democrazia». Lasciato il potere un anno dopo, aveva poi vinto le elezioni sia nel 2002 che nel 2007. Non aveva intenzione di ripresentarsi alle prossime presidenziali, il cui primo turno si sarebbe dovuto svolgere in teoria il 29 aprile.
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