Marchionne da Monti: «Perfetto». E niente supplementari

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«Incontro perfetto». Perfetto è un tempo passato per un’azione compiuta. Ma non si doveva parlare del futuro della Fiat? «Incontro perfetto», ha detto l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne, uscendo dal confronto a palazzo Chigi con il presidente del consiglio Mario Monti e il presidente del gruppo industriale, John Elkann. Il premier, alla stessa domanda su come fosse andato l’incontro, non ha risposto nemmeno con una sillaba. Eppure, non sembra essere stato una visita di pura formalità , essendo durata 90 minuti. Un tempo lungo, quanto una partita di calcio, che però non ha avuto bisogno di tempi supplementari. Segno che tra Marchionne e Monti potrebbe non essere finita in parità : ed è il manager che potrebbe aver fatto almeno un gol. Perché quando il sindacato Fiom-Cgil e la Consob hanno chiesto di sapere di più sul piano industriale della Fiat e del futuro degli stabilimenti italiani – cosa si produrrà , quando e con quali soldi, essendo stato indicato nel piano cifre iperboliche di crescita, e di produzione e di investimenti – Marchionne ha sempre risposto picche. Motivando il silenzio sulla necessità  di non dare «dettagli» che avrebbero avvantaggiato la concorrenza.
«Perfetto» suona come l’opposto di un’azione di tempo presente, mandare a quel paese chiunque chieda cosa intende davvero fare con gli stabilimenti italiani. A Monti, Marchionne ha dunque risposto qualcosa, presa per buona. Anche nel suo ruolo di regista di una squadra di governo incline a non marcare stretto il manager, Monti gli ha chiesto conto dell’intervista del manager rilasciata al Corriere della Sera. Un’intervista che Marchionne si è smentito dopo qualche giorno nel passaggio cruciale: se la nuova strategia di esportare auto prodotte in Italia in Nordamerica non funzionasse – Marchionne dixit – la Fiat si vedrebbe costretta a chiudere due stabilimenti dei cinque rimasti in Italia. Considerando che uno, Sevel sud, è in joint venture con i francesi di Psa fino al 2019 (accordo confermato nel maggio scorso), sono a rischio tutti gli altri, in primis Mirafiori e poi Cassino. Chissà  se Monti, da uomo di mondo quale è, avrà  fatto notare a Marchionne che vendere qualche centinaia di migliaia di Fiat e Alfa in America non è come vendere Panda a Torino. 
In 90 minuti, impegni confermati come da copione e qualche palla calciata in tribuna dal manager più uso al poker, c’è stato per Monti il tempo di chiedere anche della prossima sede legale di Fiat-Chrysler, di cosa pensa il manager della riforma del lavoro del governo, dei rapporti con la Casa Bianca. Tutto «perfetto», e può darsi per loro, non per i lavoratori del gruppo, troppi dei quali restano in cassintegrazione.
Marchionne ed Elkann sono arrivati a bordo della nuova Fiat Panda, guidata dall’ad. Un’auto-simbolo, prodotta nella rinata fabbrica di Pomigliano, ispezionata da Monti a uso di fotografi e cameramen. L’ammiraglia del gruppo, del resto, sarebbe stata impresentabile a un premier che gira su una vecchia Lancia Thesis: si chiama di nuovo Lancia Thema, ma è una Chrysler 300C rimarchiata. In modo «perfetto».


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