Meno lavoro per i ceti medi ignorati impiegati e insegnanti si cercano solo qualifiche alte
Meno insegnanti e impiegati, più dirigenti e professionisti. Meno colletti bianchi e tute blu, più ingegneri e imprenditori. Il mercato del lavoro cambia pelle e in quindici anni travolge soprattutto le qualifiche intermedie a favore delle professioni intellettuali. È la rivincita della laurea, ma anche l’ultimo colpo al ceto medio, sempre più svuotato e impoverito. Con una sorpresa. Avanza, nel periodo più recente, anche l’occupazione a bassa qualifica. Il segno evidente di un’evoluzione ad “U” del mercato italiano, del tutto simile a quanto sperimentato dagli Stati Uniti negli anni ’90. Si impennano working poors e top manager. In mezzo, crollano travet e operai.
UPGRADING E POLARIZZAZIONE Per descrivere l’Italia che lavora, la Banca d’Italia – nel recente studio di Elisabetta Olivieri, “Il cambiamento delle opportunità lavorative” – utilizza due termini: “upgrading” e polarizzazione. E li mette in relazione a due fasi della storia più recente. La prima, tra il 1993 e il 2000, segnata da un netto calo di tutte le professioni a bassa e media qualifica, a favore di quella alta.
Un classico esempio di “upgrading”, di aggiornamento e miglioramento di opportunità e qualifiche, che ha caratterizzato tuttii paesi europei. Il secondo periodo, dal 2000 al 2009, più vicino all’esperienza americana: rimane alta la quota delle professioni “intellettuali”, ma cresce anche quella dei lavori poco specializzati e dunque il mercato si “polarizza” agli estremi, a danno delle qualifiche intermedie.
INFORMATIZZAZIONE E IMMIGRATI Cosa spiega la doppia fase? Sicuramente un cambiamento nella domanda di lavoro più che nell’offerta. Non sono i laureati in più a modificare lo scenario, ma le nuove tecnologie (soprattutto l’informatic a) e la delocalizzazione all’estero delle mansioni di routine del processo produttivo a facilitare il passaggio all’automazione e a svuotare il settore di mezzo, quello a media retribuzione di operai e impiegati d’ufficio, compensati da più manager e specialisti. Lo dimostra la curva dei salari, anch’essa polarizzata: cresce per le professioni al top, ma anche per quelle più basse, soprattutto nell’ultimo decennio, alimentate dall’enorme bacino (a basso costo) degli immigrati regolarizzati (e di quelli al nero).
I RISCHI «La polarizzazione delle opportunità lavorative può tradursi in un aumento di working poors e portare a un indebolimento del ceto medio», osserva la ricercatrice di Bankitalia. «Tali dinamiche occupazionali hanno effetti in termini di disuguaglianza salariale». Ovvero, se diminuiscono i posti a disposizione del ceto medio (un calo di occupazione, non di importanza, sottolinea lo studio), la forchetta tra ricchi e poveri tende a dilatarsi ancora di più. GIOVANI E DONNE A pagare sono ancora i giovani, e in tutti i settori: espulsi dalla fascia di occupazioni “intermedie” (ma anche basse), non ancora esperti o con i titoli giusti per rientrare in quelle “intellettuali”, riservate agli over 35. Vincono gli uomini sulle donne (la loro quota nelle professioni qualificate avanza di 5 punti, ben superiore a quella “rosa”)e il Centro-Nord (le mansioni medie crollano di 9 punti), dove il mercato è più dinamico, specializzato, sensibile ai cambiamenti della tecnologia e della domanda globale.
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