Mille anni di martirio

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Nel Baedeker sulla Siria pubblicato nel 1912 una pagina e mezzo è dedicata a Homs. In caratteri minuscoli c’è scritto che “nella pianura a sud-est ci imbattiamo nel villaggio di Baba Amr (Bab Amro, quartiere di Homs, ndr). Interessante una visita al bazar dove potete trovare sete finissime. A nord di Homs campeggia una fortificazione per l’artiglieria… ”. Da allora il bazar è stato demolito, mentre la fortificazione è passata dagli ottomani ai francesi e infine ai seguaci del partito Baath; nell’ultimo mese il villaggio di Baba Amr è stato pesantemente bombardato da questa fortificazione. Proprio nella città  romana di Homs i Crociati commisero il loro primo atto di cannibalismo cibandosi delle spoglie dei nemici musulmani morti. Nel 1174 la città  fu conquistata da Saladino. Dopo la Prima guerra mondiale fu governata dai francesi diventando il fulcro di tutti i movimenti insurrezionali, prima contro l’esercito francese poi contro i primi governi siriani. All’inizio del 1964 ci furono in città  scontri tra tra sunniti e sciiti. Un anno dopo il giovane comandante baathista della piazza di Homs, il tenente colonnello Mustafa Tlas, faceva arrestare i suoi commilitoni favorevoli al regime.
Oggi la situazione è tutt’altro che migliorata tanto che Hama e Homs fanno pensare a Srebrenica: ingresso vietato alla Croce Rossa, lunghe file di profughi, donne separate dagli uomini, devastazioni, impossibilità  per i giornalisti e le Nazioni Unite di fare il loro lavoro.
DALL’ACCADEMIA militare di Homs, fondata dai francesi, provengono Bashar al-Assad e suo zio Adnan Makhlouf, considerato l’elemento corruttore del regime di Assad. Assad – che si è anche laureato in medicina – non ha dimenticato Homs da cui viene la sua moglie sunnita nata in Gran Bretagna. Homs è una città  cara a tutti i siriani, sunniti e alawiti che siano. Non a caso le autorità  siriane hanno sempre pensato che la sua riconquista avrebbe segnato la fine della rivoluzione. Appena a nord di Homs, per la precisione a Hama, 30 anni fa Hafez Assad fece oltre 10.000 “martiri”; la settimana scorsa Homs è diventata una piccola Hama.
Perché siamo rimasti sorpresi nel vedere l’”Esercito siriano libero” fuggire dalla città ? Davvero ci aspettavamo che il regime di Assad chiudesse bottega solo perché qualche centinaio di uomini armati di kalashnikov aveva messo in piedi una rivolta del ghetto di Varsavia in miniatura? Credevamo davvero che la morte di donne, bambini – e giornalisti – avrebbe impedito al campione del nazionalismo arabo di soffocare la rivolta nel sangue?
Quando l’Occidente ha fatto proprie le illusioni di Sarkozy, di Cameron e di Hillary Clinton – per non parlare degli Stati del Golfo che chiedono ai siriani quella stessa ”democrazia” che si rifiutano di dare ai loro popoli – i siriani hanno capito che si trattava solo di ipocrisia.
Grazie all’opera degli illusionisti del Brookings Institution, della Rand Corporation e del Consiglio per le relazioni estere e di tutti gli altri intellettuali che firmano editoriali sul New York Times, Homs era diventata la nuova Bengasi. Rifaceva capolino il solito, vecchio sogno americano: se uno Stato di polizia è spietato, cinico e corrotto, ciò vuol dire che gli oppositori, per quanto male armati, finiranno per spuntarla perché sono i buoni. I baathisti erano i nazisti, Assad un pupazzo in mano alla sua famiglia, sua moglie una sorta di Eva Braun, Maria Antonietta o Lady Macbeth. E su queste sciocchezze che l’Occidente e gli arabi hanno edificato le loro speranze.
SARKOZY, CAMERON e Clinton facevano la voce grossa contro le atrocità  della Siria, ma al tempo stesso rifiutavano di fornire aiuto militare ai ribelli. C’era sempre qualche condizione. L’opposizione siriana doveva mostrarsi unita. I ribelli dovevano dare vita ad una coalizione coesa e via dicendo. Come mai la Nato non aveva chiesto ai ribelli libici le stesse condizioni e aveva invece cacciato Gheddafi a suon di bombe? L’ipocrisia di Sarkozy era chiarissima. Ogni sua iniziativa – compresi i numerosi diplomatici ed “esperti” mobilitati per liberare la giornalista francese Edith Bouvier – aveva come obiettivo la rielezione all’Eliseo.
Le elezioni francesi, le elezioni russe, le elezioni iraniane, i referendum siriani e, ovviamente, le elezioni americane. È stupefacente la capacità  della “democrazia” di ingarbugliare il quadro politico del Medio Oriente. Putin appoggia un leader arabo (Assad) che annuncia di aver fatto del suo meglio “per proteggere il mio popolo”. Suppongo che Putin avrebbe potuto giustificarsi nella stessa maniera dopo aver fatto massacrare un bel po’ di Ce-ceni.
Quando, poco prima di Natale, parlando a Istanbul dissi che il regime di Assad non sarebbe crollato con la velocità  delle altre dittature arabe, un giovane siriano mi affrontò urlando e mi chiese “quanto mi pagava la polizia segreta siriana”. Comprensibile. Il giovane siriano veniva da Deraa ed era stato torturato dai servizi siriani.
La verità  è che i siriani hanno occupato il Libano per quasi 30 anni e dopo che se ne erano andati, nel 2005, i loro artigli politici hanno continuato a mordere a lungo la carne viva dei libanesi. Ancora oggi i servizi siriani fanno il belo e il cattivo tempo in Libano e molti parlamentari libanesi si dicono apertamente amici di Assad. Insomma, se i baathisti sono riusciti a controllare per così tanto tempo un Paese straniero, cosa ci autorizza a sperare che siano disposti ad abbandonare senza colpo ferire la Siria? Fin tanto che riuscirà  a controllare Damasco e Aleppo, Assad rimarrà  saldamente in sella.
C’è chi è convinto che Assad desideri essere ricordato nei libri di storia come colui che ha dato la libertà  alla Siria. Quand’anche fosse vero, ci sono personaggi per i quali qualunque cambiamento politico rappresenta una minaccia. Ovviamente mi riferisco agli ufficiali dei servizi e ai paramilitari del partito Baath che sono di-sposti a battersi fono all’ultima goccia di sangue, non tanto per difendere Assad quanto per difendere sé stessi.
© The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto


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