Monti, cosa vuoi fare con il no profit?

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Diremo fino allo sfinimento che in ogni capitolo di discussionenon c’è paragone tra il vecchio e il nuovo governo: sugli F35 stigmatizziamo il comportamento troppo spesso vago e reticente del ministro della difesa Di Paola, ma almeno sembra ascoltare e tentare un dialogo; sull’ambiente Clini non è certo il massimo ma alla fine il “decreto rotte”, anche grazie alla pressione di associazioni ambientaliste, è stato approvato; nel campo dell’immigrazione e della cooperazione internazionale non abbiamo ancora assistito a una concreta modifica della legislazione, ma avere un ministro che parla il nostro stesso linguaggio fa ben sperare.

Difficile però pensare che un governo con il sostegno determinante del partito di Berlusconi sia in grado di legiferare in materie invise alla destra, soprattutto nell’ambito della giustizia e della televisione, le vere istanze che hanno guidato la politica personale del Cavaliere in questi ultimi anni. Vedremo con le frequenze del digitale che avrebbero dovuto essere aggiudicate gratuitamente ma che adesso il governo ha deciso di vendere al miglior offerente, con buona pace di Mediaset.

Luci e ombre dunque. È sul piano economico però che si giocano l’identità  e la coerenza dell’esecutivo. Conosciamo i pregi e i difetti di Monti, anche se in questo ultimo periodo, la sua impostazione che privilegia il mercato, che vuole liberare le energie individuali dai lacci della burocrazia di Stato, che insomma non pensa a una necessaria e radicale riforma del sistema capitalistico, ci fa pensare che ci siano pochi orizzonti di cambiamento possibile.

Una cartina di tornasole è rappresentata dalla vicenda dell’Agenzia del terzo settore, che si occupa del mondo del volontariato, no profit, dell’economia civile, delle associazioni a movente ideale e che appunto stanno tra lo Stato e il mercato. Nel Consiglio dei ministri del 24 febbraio scorso, quello in cui è stato varato il decreto semplificazioni, si è provveduto alla “chiusura” dell’Agenzia, meglio alla sua incorporazione al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, guidato da Elsa Fornero.

Alla notizia – passata in sordina anche a causa della controversia sull’Imu agli edifici della Chiesa – il mondo del terzo settore si è subito mobilitato. Invano. Il governo però è andato avanti per la sua strada Fornero spiegò che tenere in vita l’Agenzia “sarebbe stata la riprova che in Italia non si può chiudere niente”, aggiungendo che la chiusura era inevitabile e che non era immaginabile la costituzione di una nuova authority.

A metà  febbraio al governo fu inviata una nuova lettera, questa volta da parte deicapigruppo dei partiti italiani eletti al Parlamento europeo. Nel testo furono ricordate le funzioni dell’Agenzia e le attività  svolte in questi anni, precisando che nel 2011 i costi di gestione erano stati “relativamente bassi”, con un budget intorno ai 700mila euro e “cariche praticamente gratuite del suo organo collegiale”. La lettera si concludeva ricordando che la chiusura dell’Agenzia avrebbe lasciato un vuoto perché nessun’altra istituzione avrebbe potuto assolverne i compiti.

Seguono interventi di politici italiani, di associazioni, di Ong volti non solo a difendere un’agenzia le cui funzioni indipendenti sarebbero da salvaguardare ma per dare centralità  a un mondo che potrebbe davvero rilanciare l’economia, partendo per esempio dall’idea di un servizio civile obbligatorio.

Alla fine però l’agenzia sembra proprio essere stata accorpata al Ministero e quindi sostanzialmente chiusa. Persino “Panorama” si è accorto della vicenda, segno che il problema è più generale. Maria Guidotti, Presidente dell’Istituto italiano della donazione, ha affermato al settimanale: “Che l’ente capitanato da Zamagni necessitasse di un’importante trasformazione era sotto gli occhi di tutti. Non per questo andava cancellato. Il rimedio scovato dall’esecutivo comporta un grosso pericolo: per garantire il controllo del no profit è necessario disporre di un soggetto autonomo, capace d’interagire con settori diversi tra loro. Al contrario, affidare un simile compito a un ministero significa muoversi nella direzione opposta”.

E Zamagni, Presidente dell’Agenzia, che cosa dice? Ovviamente non può che essere critico. Tuttavia in una intervista del 28 febbraio scorso a Famiglia Cristiana il noto economista fa un ragionamento in più che sottolinea il liberismo di fondo del governo Monti da cui eravamo partiti. Afferma Zamagni: “Da un lato c’è sicuramente una prova di forza. Questo Governo non capisce cosa sia il Terzo settore, non capisce cosa sono i corpi intermedi della società , non capisce la rilevanza del modello italiano di Welfare, che è la sussidiarietà . Questo Governo vuol far vedere che non guarda in faccia a nessuno e che taglia dove vuole. Come certi chirurghi che tagliano anche dove non c’è da tagliare. Ma c’è una terza ragione. Questo Governo tende a pensare che l’Italia possa rimettersi in sesto solo se si punta sullo Stato e sul mercato. Sono tutti segnali che dicono: noi non abbiamo bisogno di voi. Puntano sulle assicurazioni, sulle imprese e sulle banche. E su questo stanno facendo bene, per carità , ma stanno distruggendo tutti i corpi intermedi tra Stato e mercato”.

Non ci possiamo aspettare molto di più da Mario Monti. Ma ciò significa che occorre costruire una credibile alternativa. La sinistra europea (meno quella italiana) sembra essere finalmente in grado di presentare ricette alternative alla visone economica dominante a Bruxelles. Occorre passare dai tagli allo stato sociale a un forte sostegno al reddito (l’unica via per rilanciare i consumi); da un mercato senza regole a un’economia che punta sull’ambiente, sull’innovazione e appunto sul protagonismo della società  civile; da un rigorismo nei conti pubblici unilaterale e ferreo a una politica fiscale che non ha paura di utilizzare la leva delle tasse per ridistribuire equamente le risorse, un oculato intervento statale che non dà  contributi a pioggia ma che premia per davvero l’efficienza. Queste non sono le proposte degli indignati o dei no global bensì di economisti americani come Stiglitz o Krugman.


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