Nella giungla dei maoisti indiani “Una tregua solo se ci ascoltate”

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NAYAGARH (Orissa) – Può essere il ragazzino che gioca con la diossina bruciando montagne di bottigliette di plastica sul bordo della strada, tra scarafaggi e motorini. Oppure l’uomo che serve il tè nel chioschetto sul marciapiede, tra decine di buoi smilzi in libero zonzo e trilli continui di clacson. «Tranquillo amico, i maoisti sono ovunque. Sanno già  chi sei e dove sei. Sei tu che non saprai mai chi sono». Chiedono acqua potabile per il villaggi sulle montagne, istruzione per i giovani senza futuro, medicine e cure mediche gratuite. Chiedono irrigazione per le terre arse dal sole, e un freno alla protervia dei turisti che con le macchinette fotografiche tormentano gli abitanti dei villaggi tribali. E mentre lo chiedono, minacciano di uccidere.
C’è un nuovo ultimatum, ci sono altre 48 ore (ne sono rimaste ventiquattro, fino a questa sera) per tirar fuori dai guai Paolo Bosusco e Claudio Colangelo, la guida turistica piemontese dei viaggi avventurosi e il pensionato con la passione per l’etnologia che sfidando gli avvertimenti si sono fatti catturare lungo una carrareccia impervia di montagna che pare fatta apposta per tenerti alla larga. Le trattative sono avviate, e ci sono anche i mediatori per realizzarle. I maoisti naxaliti ne hanno scelti tre: sono un leader maoista detenuto, un avvocato e attivista per i diritti umani e un mediatore esperto che l’ha già  fatto in un sequestro del 2001.
Nel frattempo, i maoisti hanno dichiarato un cessate il fuoco unilaterale: è il loro momento, mai avuta tanta attenzione nei media internazionali, mai visto un simile apparato calare sul governo centrale di Bhubaneswar con diplomatici e giornalisti stranieri. In città , nella capitale dell’Orissa semplice e gioviale, il nostro console a Calcutta Joel Melchiorri marca stretto il chief minister Naveen Patnaik, che ieri ha confermato all’Assemblea la sospensione delle ostilità  contro i ribelli nell’operazione Green Hunt. Ha sorpreso tutti, la svolta dei maoisti che per la prima volta se la sono presa davvero anche con i turisti stranieri, che restano pur sempre una delle poche fonti di reddito per i “poveri” delle montagne e dalle giungle. Ma ha sorpreso anche l’ingenuità  di infilarsi a capofitto in mezzo ai guai: «È cominciato tutto alla fine di gennaio – racconta Vivek Panda, guida turistica accreditata per i villaggi tribali – quando sul britannico Observer hanno pubblicato un reportage raccontando il “Safari umano” sulla pelle dei nativi. Ha provocato un dibattito serrato, e il governo ha deciso di ordinare la cancellazione di parole come primitivo o aborigeno dai siti delle agenzie di viaggio. Gli attivisti dei diritti umani hanno lanciato una battaglia durissima contro lo sfruttamento, e la tensione è cresciuta». 
Venti rupie per uno scatto all’aborigena seminuda, quaranta se tiene in braccio un bimbo. La metà  se ti metti a trattare, il doppio se hai la fortuna di incocciare un guerriero con arco e faretra in buona vena, ma se è ubriaco come spesso accade ti conviene fuggire prima che prenda la mira, o che semplicemente ti strattoni chiedendo una fortuna per la foto che gli hai rubato. Vuoi fotografare le donne che camminano in fila indiana con un turbante di giare da portare al mercato, e che nel frattempo scarrettano i bimbi appesi a una fascia al seno? Dieci rupie per ogni donna, e altre dieci per ogni bimbo. «Ogni mercoledì all’alba -– racconta Marta Ghelma, giornalista freelance appena rientrata in Italia – le tribù Dongariya Kondh e Desia Kondh scendono dalle Niayamgiri Hills al villaggio di Chatikona per vendere frutta, gioielli e ornamenti. Ho visto i turisti fare la corsa a chi arrivava prima, con le jeep in fila a bloccare la strada».
Turismo-spazzatura che non piace per niente ai maoisti di Sabyasachi Panda. Più ti inoltri verso le montagne del Daringibadi, dove Bosusco e Colangelo sono finiti in trappola con la macchina fotografica in mano, più la loro presenza è forte, il loro controllo serrato. Sono il nemico pubblico numero uno dell’Orissa e in una lunga serie di Stati dell’oriente indiano, ma la gente che arriva a sera in qualche modo e poi ricomincia a campare ogni mattina non ha nulla da temere. Esistono da 50 anni, però il loro consenso sta precipitando. «Combattono la corruzione dei governativi sparando – spiega Ramakanta Barik, a Nayagarh – si finanziano con il pizzo imposto ai commercianti e alle imprese che prendono appalti per i lavori pubblici sulle strade». «E per procacciarsi le armi – racconta un ufficiale governativo – assaltano le caserme della polizia con i fucili mitragliatori, e ammazzano chi prova a resistere. Alla fine, poi, fanno saltare tutto in aria».


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