Quell’avamposto tra i monti è diventato il bersaglio dei “combattenti di Allah”

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Per arrivare a “Camp Ice” l’unico mezzo è l’elicottero. Quasi un’ora di volo da Herat, sorvolando montagne impenetrabili e terreni desolati, dove dall’alto si fa fatica a notare qualsiasi presenza umana. Nel cuore del Gulistan, regione sud-ovest dell’Afghanistan, dove le truppe italiane hanno tre avamposti, i più pericolosi dell’intera zona: la base “Snow” – dove il 31 dicembre 2010 venne ucciso Matteo Miotto, colpito dal fuoco dei talebani – quella di Lavaredo e appunto “Camp Ice”.
Gulistan, la “Valle dello Rose”, che da qualche tempo i locali chiamano Gurestan, la “Valle della Morte”. Un distretto particolare della regione di Farah, perché è in questa zona, dove in mezzo alle montagne si ricavano nascondigli inaccessibile, che le milizie Taliban arrivano nei mesi invernali per trovare un rifugio sicuro, nuove armi, pronte a riorganizzarsi nella inevitabile “offensiva di primavera”, che ormai si ripete ogni anno secondo le stesse modalità .
Da quando c’è “Camp Ice”, da quando ci sono i tre avamposti, la zona è diventata meno sicura per i “combattenti di Allah”. Le pattuglie dei nostri militari sono bene addestrate e soprattutto hanno avuto fin dall’inizio una grande capacità  di trovare i contatti giusti con la popolazione locale, di infondere fiducia in chi, anche quando non vuole stare dalla parte dei Taliban, vede nei soldati stranieri un pericolo da evitare. Ma proprio perché meno sicura per i Taliban la zona è diventata più pericolosa per i militari italiani. 
Nell’ultimo anno le azioni di disturbo, a volte veri e propri attacchi, a volte semplici imboscate contro gli avamposti del Gulistan, si sono intensificati. E gli ultimi avvenimenti, che hanno visto protagonisti in negativo i marines americani o altre truppe della Nato, hanno indebolito quel clima di fiducia con la popolazione. Con i vecchi diffidenti per natura, ancorati a tradizioni che durano da secoli e i giovani, quelli nati in mezzo a guerre, occupazioni e violenze, presi in mezzo nella difficile scelta tra stare con i Taliban o passare per traditori “infedeli”.
“Camp Ice” dal punto di vista militare ha un’altra peculiarità . Lì risiedono anche un paio di team composti esclusivamente da soldati americani che lavorano a stretto contatto con le popolazioni locali dei villaggi della zona ma operano sotto il comando di un ufficiale italiano. Quando ho visitato la base, nel 2011, gli americani erano felici della collaborazione con i nostri soldati, e non solo per l’ottima cucina da campo. «Gli italiani sono soldati di élite, il loro grado di addestramento è eccellente e sono straordinari sia nell’addestrare i militari afgani che nei contatti con la popolazione».
È anche l’avamposto più grande dei tre del Gulistan. Oltre al pane fresco, che viene cotto ogni giorno dai militari che vengono da Maddaloni, a Camp Ice ci sono bagni in lamiera, ogni sera per quattro ore si può fare una doccia, nei momenti di risposo ci si può anche rilassare. Ogni mese che passa ci si rilassa sempre di meno. Adesso che la primavera è iniziata e i Taliban si sono di certo riorganizzati tutto lascia prevedere che nuovi attacchi non mancheranno. Quelli a colpi di mortaio, che rimbombano pesantemente nelle orecchie, o gli agguati improvvisi alle pattuglie di guardia o ai Lince che fanno la spola con i villaggi.


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