Sospesi nel labirinto che porta dal corpo alla mente

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Cervello (Bollati Boringhieri, pp. 157, euro 9) si intitola l’ultimo libro del neuroscienziato Alberto Oliverio, docente di Psicobiologia nell’Università  di Roma «La Sapienza». Si tratta di un libro inconsueto nel panorama delle pubblicazioni sulle neuroscienze, perché non ha la solita e ristretta visione neurocentrica della mente umana. In questo senso non cade nella neuromania di questi anni. Lo abbiamo intervistato concentrandoci sugli aspetti più filosofici del libro. 
Un libro sul cervello, non sul corpo umano tutto intero. Non è che le neuroscienze, in realtà , rappresentano l’estrema incarnazione dell’eterno dualismo che separa lo spirito dal corpo? Ora si chiama cervello, però ha le stesse caratteristiche dell’anima: è la sede del pensiero, della scelta, della creatività , delle emozioni, e così via. E il corpo?
Ovviamente il cervello è anche corpo, senza di esso, come nel classico esperimento mentale in cui il cervello, isolato in un vaso, svolge le sue funzioni in una situazione disincarnata, la sua capacità  di valutare la realtà  esterna e interna, ad esempio l’emozione, sarebbe compromessa. Se si parla di cervello, si parla anche di corpo: non soltanto in rapporto all’emozione ma anche in rapporto a una serie di illusioni come, ad esempio, l’arto fantasma in cui il soggetto percepisce ancora qualcosa che non esiste, come un arto amputato.
Se parlassimo una lingua che non distinguesse, come l’italiano, fra «mente» e «cervello», ci passerebbe mai per la testa di tracciare questa distinzione? La questione mente/corpo è una distinzione scientifica oppure è una distinzione religiosa?
In francese il termine mente non esiste, esiste esprit di chiara derivazione metafisica. Mente/corpo è anche una distinzione scientifica e implica che senza il cervello la mente non esista. Il che, a mio parere, non implica un’identità  assoluta tra mente e cervello.
Il cervello di un neonato contiene tutte le informazioni necessarie per costruire una mente umana, oppure quel che c’è lì dentro non è sufficiente? 
Senza l’esposizione a un ambiente adatto, persino il linguaggio non si sviluppa. Esistono i presupposti genetici per un cervello umano ma la loro realizzazione dipende dall’esperienza.
Un cervello di sapiens, cresciuto però in un corpo che per qualche ragione non partecipasse ad una comunità  umana (come nel Mowgli di Kipling), sarebbe in grado di sviluppare le «normali» capacità  percettive e cognitive di un essere umano? 
Il cervello diventa pienamente umano sulla base di un ambiente (relazioni, esperienze) umano: lo stesso linguaggio, inizia a svilupparsi nella tarda vita fetale, quando la voce materna viene memorizzata e verrà  riconosciuta e preferita alla nascita.
Si può dire che la tastiera del computer con cui ho scritto (pensato?) queste domande sia un prolungamento esterno del corpo/cervello che sono?
Direi di sì, alcuni aspetti del nostro pensiero sono facilitati da «estensioni della mente»: ad esempio, è difficile eseguire calcoli complessi senza cara e matita (o un computer), affinare un pensiero senza trascriverlo comenon è facile per un artista realizzare un’opera d’arte senza eseguire un bozzetto. Generazione dopo generazione abbiamo messo a punto dei prolungamenti esterni che oggi sono quasi integrati con le nostre funzioni cognitive.
Quanto influisce, sullo sviluppo del cervello umano, il fatto di parlare una lingua?
Le nostre attività  mentali sono definite dal linguaggio: quello che è il linguaggio interiore al centro delle riflessioni di personaggi letterari (si pensi all’Ulisse di Joyce) è anche al centro della strutturazione delle nostre attività  cognitive. Quando pensiamo, parliamo a noi stessi, in silenzio o, come avviene per alcune persone, a voce alta. È grazie al linguaggio che, nel corso dello sviluppo infantile, si passa da una realtà  concreta e immediata a complesse forme di astrazione che riguardano realtà  non presenti, al di fuori dei sensi. Direi che il linguaggio è una fonte primaria di plasticità , una vera e propria ginnastica cerebrale.
Ogni giorno leggiamo che qualche neuroscienziato forse un po’ frettoloso dichiara di avere scoperto l’area cerebrale di qualcosa, di Dio, del sesso, della mente altrui, e così via. Ma è fatto così, un cervello, come se fosse un motore fatto di tanti pezzi distinti?
Tutte le funzioni del cervello sono integrate e avvengono a più livelli. Spesso si mette in luce il ruolo prevalente di un’area particolare, come la corteccia motoria primaria: ma quando ci muoviamo entrano in funzione numerose altre aree. Lo stesso avviene per funzioni emotive, cognitive e via dicendo. Bisogna quindi stare attenti a non semplificare, oltre che a non ipotizzare l’esistenza di aree connesse a ipotetiche funzioni, un atteggiamento non molto diverso da quello della frenologia ottocentesca.
Una domanda sull’attualità . E’ di nuovo forte la polemica contro la psicoanalisi, accusata, come al solito, di non essere una scienza. C’è una critica specifica, però, che merita di essere presa in considerazione: la psicoanalisi non potrebbe curare l’autismo, perché questo sarebbe soltanto un disturbo del cervello, non psichico. Si sa davvero quale sia la causa neurologica dell’autismo?
L’autismo è una sindrome, nel senso che ne esistono diverse forme e, di conseguenza, diverse cause. Su alcune di queste forme esistono ipotesi fondate come una ridotta connessione tra i due emisferi, un deficit dei «neuroni specchio» o una compromissione della comunicazione tra neuroni corticali. Ad esempio, la delezione del gene che regola la formazione delle sinapsi (neurexina) aumenta in misura sensibile la probabilità  di diventare autistici. Detto questo, non è stata individuata un’unica causa di autismo.
Ultima domanda, allo scienziato che studia da cinquanta anni il cervello: esiste, secondo lei, qualche problema filosofico che le neuroscienze hanno risolto in maniera definitiva?
Aristotele, nella Metafisica, dice: «La filosofia non serve a nulla, ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile». Sarebbe lecito ribaltare questa frase sulle neuroscienze? Chiedersi – provocatoriamente- se servono alla filosofia? Non so se le neuroscienze abbiano risolto un problema filosofico in maniera definitiva, certamente ci prospettano un’immagine degli esseri umani meno astratta, più incarnata. La filosofia della mente deve fare i conti con le neuroscienze, anche se queste ultime si inseriscono su dibattiti secolari.


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