Squinzi presidente ma Confindustria si spacca

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Dopo lo “strano” governo, una “strana” Confindustria. Perché il voto che ha designato ieri il sessantanovenne Giorgio Squinzi alla guida dell’associazione di Viale dell’Astronomia non è affatto nel segno della continuità . Il voto della Giunta, con uno scarto di appena 11 punti tra il “chimico” Squinzi e lo sconfitto “metalmeccanico” Alberto Bombassei traccia il solco della profonda spaccatura tra i due schieramenti e fa emergere il peso e il ruolo delle aziende pubbliche ed ex pubbliche dentro la lobby degli industriali. Un cambio di fase, dove, per la prima volta, affiora anche l’unità  degli industriali veneti, tradizionalmente divisi. Questa volta si sono schierati compatti con Bombassei, dopo la rinuncia del loro candidato di bandiera Andrea Riello, e sono destinati così a diventare, tra gli “oppositori”, gli interlocutori privilegiati di Squinzi in vista della composizione della sua squadra. Andrea Tomat, presidente uscente del Veneto (al suo posto è candidato il vicentino Roberto Zuccato), potrebbe essere uno dei prossimi vicepresidenti. 
Dunque, non c’era mai stata una divisione così netta nemmeno dodici anni fa ai tempi dello scontro tra Antonio D’Amato e Carlo Callieri, dove però in gioco c’erano davvero due visioni diverse del ruolo di Confindustria (l’una istituzionale, l’altra movimentista), degli equilibri al suo interno tra grandi gruppi (Fiat in testa) e i piccoli, e del rapporto con la politica. La disputa tra Squinzi e Bombassei, due espressioni del nostro “quarto capitalismo” capace di misurarsi con la globalizzazione, è stata da una parte una sorta di referendum sulla presidenza di Emma Marcegaglia, che sosteneva il primo, e dall’altra una guerra di potere all’interno della Confindustria, tra cordate “armate”, alleanze strumentali, ambizioni malcelate di quelli che da tempo sono appellati come i “professionisti della Confindustria”. Il tutto con incursioni imprevedibili e davvero inedite come quelle di Sergio Marchionne che appena uscito da Confindustria sbattendo la porta si è precipitato a dichiarare che con Bombassei alla presidenza sarebbe rientrato. E pare addirittura che negli ultimi giorni gli uomini del Lingotto si siano spesi per sostenere la candidatura del patron della Brembo, fornitore della Fiat. Tanto da far sussurrare a Luigi Abete, past president, esperto di questioni confindustriali come pochi: «Nemmeno noi ci rendiamo conto di quanto sia importante Confindustria». 
Eppure questa è anche la stagione del declino confindustriale. In termini di rappresentanza del mondo imprenditoriale (tante sono le defezioni, tanti sono i malumori per una struttura considerata costosa e non sempre efficiente), come del rapporto con il potere politico. Monti ha sì sostanzialmente cancellato l’articolo 18, ma ha anche spazzato via gli ultimi residui della concertazione, rendendo molto più incerta la funzione delle parti sociali. Il presidente designato ha cominciato con il fare l’elenco delle cose che non vanno nel sistema Italia (troppa burocrazia, alto costo dell’energia, e la iper tassazione) ma in vista del programma dovrà  fare i conti soprattutto con la fragile struttura del nostro assetto capitalistico con pochi capitali, banca-dipendente, molto indebitato e con poca voglia di investire. Perché proprio da qui nasce la mossa plateale di Paolo Scaroni, ad dell’Eni, megagruppo controllato dal Tesoro. «Noi abbiamo sei voti – ha detto Scaroni -. Eni – ha aggiunto – ha fatto la differenza votando per Squinzi, evitando un pareggio che sarebbe stato una cosa antipatica». Insomma, – secondo Scaroni – che ha sempre coltivato l’ambizione di fare il king maker per l’elezione del presidente di Confindustria – l’Eni ha fatto la differenza. Mossa che non è affatto piaciuta a Squinzi. Ma la strategia che l’ha portato al settimo piano di Viale dell’Astronomia, messa in campo dal suo fedelissimo Aurelio Regina, presidente di Unindustria Roma e candidato ad avere una delega di peso (forse le relazioni industriali) nella squadra di presidenza, ingloba anche l’idea che non ci siano più le barriere tra pubblico e privato. Fulvio Conti, ad di Enel, è candidato alla delega per il Centro studi. Ma al Nord questo connubio piace poco e contribuisce a spiegare pure quella decina di voti che, stando ai pronostici e all’esito della consultazione dei saggi, sono mancati ieri a Squinzi. Quello è il “modello Roma” dove, infatti, sono vice di Regina sia Mauro Moretti (Ferrovie), sia Flavio Cattaneo (Terna), sia lo stesso Franco Bernabè con la sua Telecom ancora percepita come azienda pubblica. Fondere Roma con l’Assolombarda (Milano) non sarà  cosa semplice, tanto più che Bombassei ha raccolto i suoi voti «dove si fa il 70% del Pil nazionale», diceva, off the record, uno dei grandi elettori del presidente della Brembo.


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