Tornano i rincari sui telefoni fissi lettera Ue: concorrenza a rischio

by Sergio Segio | 17 Marzo 2012 14:15

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ROMA – Sempre più costoso avere una linea fissa: gli operatori italiani hanno aumentato progressivamente i prezzi, negli ultimi anni, e persino nei listini di marzo hanno fatto rincari. Cresce tutto: il canone mensile, certo, di circa il 30% in quattro anni; ma anche cose meno visibili come lo scatto alla risposta per le chiamate. Ultimi rincari: nei rinnovati listini di marzo, Wind ha portato a 14,95 euro al mese l’offerta che il mese prima costava 14,07 e ne ha aumentato lo scatto alla risposta da 15 a 18 cent (con chiamate illimitate incluse nel canone). Allo stesso modo, a marzo TeleTu ha aumentato di tre euro al mese l’offerta che comprende in 34,90 euro l’Adsl e telefonate illimitate al solo costo dello scatto alla risposta; pure quest’ultimo è rincarato: da 15 a 18 cent. Sono solo due esempi di un fenomeno generalizzato (con poche eccezioni, come Fastweb, che comunque non è l’operatore più economico).
Il paradosso è che i rincari sono concentrati sugli operatori alternativi a Telecom Italia, che invece ha aumentato poco i prezzi negli anni. Risultato, fino a poco tempo fa c’era un grosso risparmio ad abbandonare Telecom, adesso è quasi nullo: la liberalizzazione sembra tornare indietro. Com’è possibile? Gli operatori alternativi danno la colpa ai costi all’ingrosso, cioè quelli che pagano a Telecom Italia, e in particolare all’aumento del canone di unbundling: dai 7,65 euro per linea al mese nel 2008 ai 9,28 euro al mese nel 2012. «Sul fisso solo Telecom sta generando cassa», è la tesi sostenuta da Paolo Bertoluzzo, amministratore delegato di Vodafone Italia e da Alberto Calcagno, direttore generale di Fastweb, in audizioni alla Camera, a febbraio. «TeleTu ha rivisto la propria offerta a seguito dell’aumento del canone» spiega Alfonso Lotito responsabile marketing di TeleTu.
È in questo scenario che va inquadrata la battaglia in corso sull’emendamento al decreto legge Semplificazioni. Se approvato al Senato, obbligherebbe la disaggregazione dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di Telecom Italia. Il canone di unbundling è ora un affitto “vestito”, che include l’uso del doppino e anche, per circa 2 euro al mese, i servizi di manutenzione gestiti da Telecom. Con la disaggregazione, gli alternativi potrebbero pagare solo il nudo affitto a Telecom e poi curare la manutenzione in proprio. Ieri la Commissione europea ha scritto una lettera al governo italiano, nel merito, chiedendo chiarimenti. Ha spiegato che l’emendamento violerà  le normative europee se scavalcherà  le competenze Autorità  garante delle comunicazioni, la quale ha pure sostenuto questa tesi. Nessun problema invece, per la Commissione, se la norma si limiterà  a facilitare il lavoro di decisione di Agcom. L’Europa vuole insomma sincerarsi che il governo lasci comunque ad Agcom l’ultima parola. Altrimenti, c’è il rischio che si apra una procedura d’infrazione contro l’Italia. Di contro i sindacati in una lettera inviata al ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera hanno espresso preoccupazione per le ricadute occupazionali per Telecom Italia.

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