Un impero creato in pochi anni “Adesso i padroni siamo noi”

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NAPOLI – Vite nel lusso, l’economia inquinata dai capitali dei boss. All’inizio, i fratelli Ragosta, smaltivano il ferro. Poi, erano i “pionieri” nei primi traffici illeciti di rifiuti speciali. A sentire i pentiti di camorra, nei loro capannoni sparivano letteralmente le auto di camorra che scottavano: «triturate». Poi, la svolta all’alba del Duemila. Il lifting a suon di un centinaio di milioni sporchi. Così diventano holding. Fanno shopping di hotel di lusso, immobili a grappoli. Ma “comprano” anche giudici tributari. Una rete di corruzione con docenti, garanti. «Siamo appena all’inizio», avvertono i procuratori Federico Cafiero de Raho e Alessandro Pennasilico. L’ordinanza, 1300 pagine, è carica di “omissis”.
IL PADRONE
La conversazione è del 10 gennaio 2008, parlano l’imprenditore-ras Fedele Ragosta e Lamberto Tacoli. Ecco l’impatto, a Milano, tra i Ragosta e la storica Lazzaroni, appena conquistata. 
Ragosta: «Lunedì ero a Milano, abbiamo preso possesso».
Lamberto: «Lazzaroni?»
Ragosta: «Ma un casino (…) 300 dipendenti la gente che si è vista strana, l’amministratore…» 
Lamberto: «Tu che incarico hai dentro?»
Ragosta: «Io non ricopro mai nessun incarico!!» 
Lamberto: «Lo so, ma infatti te l’ho chiesto apposta»
Ragosta: «Il padrone!! il padrone! è proprio questo il punto, loro sono lì più formali. Però cazzo, c’era tutto il consiglio di amministrazione che è mio!! Sono tutti uomini miei no! E “non possiamo dare l’informazione”».
Lamberto: «È normale che loro chiedono tu che cosa fai». 
I BISCOTTINI
Figura chiave di uno dei filoni dell’inchiesta, è una commercialista del gruppo Ragosta. Anzi, la professionista double-face: da un lato consulente per il colosso privato, dall’altro giudice tributario. Anna Maria D’Ambrosio, per la Procura, «sistematicamente si adoperava per pilotare la decisione delle vertenze tributarie riguardante i propri assistiti». È lei a promettere il regalo. Ad esempio, dice al membro del Garante: «Dai, firmate tutti e tre. Vi portiamo i biscottini». 
LE SPESE FOLLI
Scrive il gip: «Tenore di vita davvero strabiliante», quello delle due coppie Ragosta. «Nonostante gli esigui redditi dichiarati» fino al 2000, «è stato accertato, analizzando i movimenti operati sulle carte di credito in uso personale, che le spese effettuate mensilmente, per consumi di lusso (acquisti di gioielli, borse, abiti firmati, spese per alloggi in alberghi prestigiosi.), si attestavano mediamente intorno ai 20-30 mila euro a coppia». 
LA PISTOLA
Il patto tra i clan e i Ragosta, per i magistrati, è datato. In un’intercettazione del 2004, un consulente dell’Agenzia regionale Arpac cercava locali per uffici e si rivolse alla società  dei Ragosta. L’esito mise i brividi. «Questi Ragosta sono criminali – disse, parlando al telefono – pensa che uno si è presentato con una pistola». Il pentito Carmine Amoruso, lungamente ascoltato dalla Procura antimafia il 26 gennaio di quest’anno, offre ulteriori, convergenti scenari: «Orlanducci (un altro affiliato, ndr) mi parlava dei Ragosta come di una famiglia amica del clan. (…) Facevano un traffico illegale di rifiuti con la Puglia. Per questo gli autisti non volevano lavorare con loro, avevano problemi respiratori (…) Un altro mi disse che le macchine “sporche” venivano triturate in quei macchinari speciali che hanno i Ragosta».
IL PIZZINO
Lo stesso pentito Amoruso. «Su quel pizzino? Posso fare solo un’ipotesi: tenuto conto che i Ragosta non erano vittime del clan, la somma indicata potrebbe riferissi ad affari comuni fra i Ragosta ed il clan Giugliano». E quelli che seguono sono altri “omissis”.


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