Washington, lo scontro finale sulla Sanità  show anti-Obama davanti alla Corte Suprema

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Può spostare gli equilibri dell’elezione presidenziale di novembre. È la più importante decisione della Corte suprema da generazioni. E non ci sarà  una sola telecamera, non un telefonino né un iPad a immortalarla. Il pubblico ha assediato per tre giorni e tre notti la sede del tribunale più potente del mondo, il circo mediatico americano è mobilitato con uno schieramento degno dello sbarco sulla luna, ma là  dentro solo carta e penna sono permesse ai reporter. Qualcuno è arrivato perfino dalla Svezia, chiamato a testimoniare sul funzionamento della sanità  pubblica «socialista».
La posta in gioco è la riforma di Barack Obama: il lascito legislativo più consistente del suo primo mandato, una missione a cui il presidente si è dedicato spendendo gran parte del suo capitale di prestigio iniziale, una battaglia memorabile che lo ha opposto al partito repubblicano al Congresso, seminando dubbi anche in seno ai democratici. Da ieri è giunto lo scontro finale, quello che la destra ha voluto portare davanti alla Corte suprema, contestando la costituzionalità  della riforma sanitaria. Qualche migliaio di cittadini ha atteso in fila da venerdì per i soli 60 posti concessi al pubblico (altri 340 sono riservati alle autorità , parlamentari e giuristi che rappresentano le parti in causa). Il candidato alla nomination repubblicana Rick Santorum ha improvvisato un comizio elettorale contro la riforma sulla scalinata del tribunale. Molti gruppi religiosi, la base più oltranzista della destra, manifestano di fronte alla Corte. La copertura mediatica è ossessiva, con telecronache minuto per minuto, anche se dall’interno non escono neppure messaggi Twitter.
Tre giorni di tortura, coi mass media ricacciati nell’èra pre-digitale, tre giorni in cui i nove giudici togati ascoltano tutte le parti in causa: fino a domani. La sentenza invece è attesa per giugno. Cadrà  poco prima delle convention repubblicana e democratica, cinque mesi prima dell’elezione presidenziale. Una sentenza di vita o di morte. Può indebolire o rafforzare Obama, può ridefinire l’intera campagna elettorale. I nove giudici sono prevalentemente di destra: cinque nominati da presidenti repubblicani (Ronald Reagan, Bush padre e figlio), quattro dai democratici Bill Clinton e Obama. I due legali più importanti a perorare pro e contro sono Paul Clement, per i 26 Stati a guida repubblicana che contestano la legge; e Donald Verrilli che rappresenta l’Amministrazione. Il nodo cruciale è l’obbligatorietà  dell’assicurazione sanitaria per tutti i cittadini. Per Obama, l’obbligo è indispensabile, per imporre alle compagnie assicurative un controllo sulle tariffe: «l’universalità » è una condizione per ridurre i rischi e quindi i costi. La destra sostiene che Washington con quell’obbligo abusa dei propri poteri costituzionali, imponendo ai cittadini un onere, di fatto l’equivalente di una tassa, che fuoriesce dalle sue competenze.
«Se vince Obama, il prossimo passo sarà  una legge per obbligarci tutti a mangiare broccoli?» è uno degli slogan della destra anti-Stato, che contesta il ruolo di «tutore e guardiano» che Obama starebbe affidando all’autorità  statale. Le frange religiose fondamentaliste gli rivolgono accuse peggiori, per lo più infondate: secondo loro nelle pieghe della legge c’è ogni orrore, dalle politiche anticoncezionali alla presunta eutanasìa di Stato.
Dopo numerose sentenze contraddittorie dei tribunali statali, la contesa è approdata alla Corte suprema che è il giudice finale sulle competenze tra governo federale e Stati. I due «principi del foro» hanno dovuto sottoporsi a un allenamento da campioni olimpici: jogging, ginnastica in palestra, decine di sedute di simulazione davanti a finti giudici costituzionali (impersonati da colleghi giuristi) per poter reggere questa maratona giudiziaria.
Dietro i due legali più importanti si agita una schiera di rappresentanti delle parti. In subordine al ricorso più importante, ce ne sono altri: per esempio se sia lecito estendere il mandato del Medicaid. Il Medicaid è l’unico sistema di assistenza che si avvicina in qualche modo ai servizi sanitari nazionali europei: eroga cure gratuite a carico dello Stato, ma solo ai poveri e agli invalidi. Con la riforma di Obama, il Medicaid verrebbe allargato fino a coprire tutti coloro che hanno un reddito fino al 33% sopra la soglia della povertà , cioè 14.000 dollari annui pro capite.
Anche se a giugno la Corte dovesse salvare il suo piano, per Obama la riforma sanitaria resta un punto debole: una maggioranza relativa di americani (47%) la disapprova, solo il 36% è favorevole. Nessuno ne ha sentito gli effetti, perché l’obbligatorietà  scatta dal 2014. Il guaio è che nel frattempo le assicurazioni continuano ad aumentare le tariffe, con punte di rialzi scandalosi: e molti cittadini attribuiscono la stangata alla riforma.


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