5.000 «esodati» irrecuperabili e stipendi bloccati da maggio

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Prendiamo in caso delle Poste italiane, a suo tempo trasformate in «quasi banca» da un amministratore delegato di nome Corrado Passera. L’attuale presidente, Giovanni Ialongo, si trova ad affrontare due grossi problemi creatigli dal governo in carica (in parte da Fornero, in parte da Passera).
Intanto, le sole Poste hanno prodotto circa 5.000 «esodati». Dei quali, al contrario di quel che aveva ipotizzato il surreale sottosegretario Gianfranco Polillo, non possono riassumerne «neanche uno». Quelle uscite, infatti, sono state ottenute un anno fa grazie a incentivi economici oppure a uno «scambio virtuoso»: il genitore lasciava il posto e un figlio veniva assunto, quasi sempre part time. Il contrario non si può rifare, ovviamente. 
Una di loro – resoconta un Sole24Ore quasi scandalizzato – ha scritto al ministro Fornero illustrando la propria situazione: «ho lavorato 37 anni e 3 mesi, sono uscita sapendo che sarei andata in pensione nel 2014, e ora mi tocca aspettare il 2020; come faccio a vivere?». La risposta è stata una secchiata gelida come neppure da lei ci si poteva aspettare: «Voglio ricordarle che se lei è disposta, come afferma, ad andare in pensione con la ‘pensione che si è pagata’ (ossia con pensione interamente contributiva), lo può fare, a partire da 57 anni di età ». In parole povere: con «la minima», che equivale in quel caso al 60% dell’assegno di cui avrebbe avuto diritto prima che Fornero scassasse il sistema dei diritti di legge. Intanto il direttore generale Inps Mauro Nori ha anticipato che secondo i propri calcoli gli esodati sarebbero «solo» 130.000. Vedremo oggi i dati ufficiali.
Il secondo problema delle Poste è invece il pagamento degli stipendi ai dipendenti. Possibile? Sì, perché il governo ha deciso che le transazioni superiori ai 1.000 euro possano avvenire solo tramite bonifico, senza alcuna esenzione, nemmeno per pensioni o stipendi. In pratica, fin qui, tutti i dipendenti che avevano un mutuo con una banca esterna potevano riscuotere in contanti. Migliaia di persone che ora potrebbero, in ogni caso, far girare su quel conto l’assegno mensile. Ma non possono, perché una disposizione interna delle Poste (del tutto identica a quella di altre banche verso il proprio personale) obbliga ora tutti i «postini» ad aprirsi un conto presso l’azienda datrice di lavoro.
Per essere una conseguenza delle «liberalizzazioni», ha tutta l’apparenza paradossale di una «violazione della concorrenza». Le proteste ci sono state immediatamente (dai Cobas ad altre sigle), ma per il momento senza esito. Di fatto, dunque, da maggio i dipendenti delle Poste che non avranno aperto un conto in house non potranno ricevere uno stipendio perché l’azienda non saprà  come darglieli. Qualche vecchio padrone delle ferriere potrebbe giudicare questa una situazione addirittura «geniale».


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