Chrysler salva i conti del gruppo Fiat
TORINO – Il Lingotto ringrazia la Chrysler. Ancora una volta i conti di Auburn Hills salvano quelli di via Nizza, Detroit mette una toppa alle difficoltà di Torino. Così la riunione del cda, ormai un organismo itinerante, si svolge in America e il caso sembra quasi premiare la sponda atlantica, quella che produce utili. I risultati del primo trimestre 2012 sono lì a dimostrare una supremazia incontestabile. I fondamentali dicono che tra gennaio e marzo il gruppo ha fatturato 20,2 miliardi di euro, che l’utile della gestione ordinaria è di 866 milioni e che l’utile netto è di 379. Dati non confrontabili con il primo trimestre del 2011 perché all’epoca i conti di Chrysler non erano consolidati nel bilancio del Lingotto. Ma se si osservano i dettagli si scopre che senza l’effetto Chrysler Torino sarebbe oggi in gravi difficoltà . Circostanza che conferma la bontà della scelta di Marchionne di costruire l’alleanza con Chrysler ma che giustifica anche lo scetticismo della Borsa: ieri il titoloè stato penalizzato nonostante il fatto che formalmente l’utile sia aumentato di dieci volte, da 37 a 373 milioni.
Anche la Borsa però legge il bilancio scorporato. Senza l’effetto Chrysler, i conti Fiat sarebbero in rosso. Nel confronto con il primo trimestre 2011, i ricavi sarebbero scesi da 9,2 a 8,6 miliardi di euro (5,7 per cento) mentre l’utile sarebbe crollato da 37 milioni a un rosso di 273. L’aumento del peso di Chrysler nel gruppo si vede anche nelle vendite. In Nordamerica Fiat-Chrysler ha venduto 475 mila veicoli nel trimestre mentre in Europa ne ha venduti solo 260 mila. L’incremento del mercato nordamericano è stato del 33 per cento, il calo di quello europeo è stato del 18 per cento.
Guardando il risultato finale, il commento di Marchionne nella conference call seguita all’annuncio della trimestrale è quasi scontato: «Sono incredibilmente soddisfatto». L’ad non si nasconde che anche in Chrysler «c’è ancora molta strada da fare» ed esclude una quotazione in Borsa entro il 2012. Il manager fa capire che non intende acquistare il 40 per cento della società ancora in mano al fondo pensioni Veba del sindacato americano. Se ne parlerà dunque al momento della fusione. Per ora la preoccupazione principale è quella delle alleanze: «Non è un mistero che avevamo contatti con Psa», dice con un certo rammarico l’ad parlando di una trattativa che si è conclusa con l’arrivo di Gm. Marchionne conferma anche l’interesse per un partner asiatico:i conti del primo trimestre dicono che nell’area il gruppo ha venduto solo 25.000 auto, il 47 per cento in più dello scorso anno ma molto poco rispetto a quanto stanno facendo i principali concorrenti. Incalzato dagli analisti l’ad del Lingotto ha risposto alle domande sulle strategie di investimento: «Anche in Europa siamo pronti con le architetture per i nuovi modelli», ha detto Marchionne. Osservando però che «è stato saggio» non proporre nuovi modelli in questa fase nell’eurozona. Per le strategie future, ha concluso l’ad «i prossimi due trimestri saranno cruciali». Ieri sera a Detroit Marchionne ha incontrato Lech Walesa nello stabilimento Chrysler di Jefferson North, roccaforte del Uaw, il sindacato dell’auto Usa. Interlocutori con i quali, come è noto, l’ad ha maggiore facilità di rapporto di quanto non abbia con i sindacalisti italiani. La strategia di mettere fuori la Fiom dalle fabbriche potrebbe trovare un serio ostacolo nell’emendamento alla riforma del lavoro presentato ieri dal Pd. Il testo propone di riammettere in fabbrica «i sindacati maggiormente rappresentativi».
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