COSàŒ FUNZIONA IL CLAN PADANO

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La Lega è sempre stata un partito-famiglia: nasce attorno a una coppia di coniugi varesotti, Umberto e Manuela, che mobilita familiari ed amici. Tramite un primo foglietto di propaganda autonomista indirizzato a persone del Nord, individuate grazie a cognomi tipici, riescono a raggiungere famiglie nordiste anche in altre provincie e così, a poco a poco, il cerchio si è allargato.

L’ostracismo subìto nei primi anni di lotta politica ha probabilmente rinforzato la tendenza al cerchismo. In un movimento mosso da vere e proprie paranoie ci si fida soltanto dei propri cari. Paura delle infiltrazioni e denuncia dei complotti caratterizzano e ritmano la storia della Lega. La sua struttura partitica è molto chiusa. Nella fase di crescita del movimento, il leader ha instaurato un clima di terrore nei confronti di chi mirava alle poltrone senza aver dato prova di fedeltà . I gruppi xenofobi desiderano ritrovarsi fra simili: origini comuni e somiglianze fisiche diventano per loro altrettante garanzie di buona fede. I partiti carismatici sono più degli altri propensi a funzionare secondo logiche familiste. La confusione tra i fondi del capo e i fondi del partito è pressoché la regola. Dall’inizio, è apparso chiaro a tutti i militanti, che Bossi concepiva la Lega un po’ come un’officina metalmeccanica da lasciare in eredità  ai figli. E nessuno lo metteva in discussione. Poco dopo l’ictus, cioè nel novembre 2004, si presenta il nepotismo di casa Bossi. La nomina a Bruxelles per i posti di assistenti parlamentari del fratello di Umberto Bossi, Franco Bossi, e del figlio primogenito, Riccardo, dà  un cattivo segnale. Il primo è stato reclutato da Matteo Salvini, il secondo da Roberto Speroni, un fedele di casa Bossi, anche lui accusato di nepotismo per aver spinto il genero Marco Reguzzoni alla testa della provincia di Varese. Di fronte alla difficoltà  inaudita creata dallo stato di salute del padre-padrone leghista, il cerchio si restringe attorno alla coppia fondatrice, i figli e gli amici più stretti. E paradossalmente, sarà  da questo cerchio ristretto che sorgerà  la più grande minaccia. Per ostacolare le ambizioni dei colonelli e proteggere l’immagine di Bossi il duro, la moglie Manuela, inizia a limitare i contatti del leader per evitargli stanchezze inutili. Rosy Mauro affianca l’amica Manuela nel ruolo di angelo custode, accompagnando sempre il capo nei suoi spostamenti.

Questa sorta di “tutela” ha lo scopo di tenere alla larga gli eventuali candidati alla successione. Quando Bossi ricompare per la prima volta convalescente, a Lugano il 6 marzo 2005, accanto a lui, c’è il figlio Renzo, all’epoca ancora sconosciuto. Da allora il figlio di Manuela comincia l’apprendistato. La somiglianza fisica col padre, peraltro, è sorprendente. Bossi liquida con una battuta le ipotesi di un ruolo di primo piano per il figlio, dicendo che Renzo non è un delfino, ma soltanto una trota. Però il giovane rampollo si rivelerà  ben presto un piccolo squalo, facendosi eleggere consigliere regionale. Da lì in avanti, ci saranno una serie di grosse delusioni paterne fino all’implosione del cosiddetto “cerchio magico”. Questa triste vicenda ricorda il passo falso di Nicolas Sarkozy, quando, nel 2009, candidò Jean, il figlio ventenne, alla testa l’Epad (Istituto pubblico di sviluppo territoriale del quartiere della Défense a Parigi), il più grande progetto immobiliare d’Europa. Di fronte al malcontento del suo stesso partito, farà  marcia indietro. Ma nei periodi in cui italiani e francesi hanno paura per l’avvenire dei propri figli, le promozioni-lampo degli eredi diventano qualcosa di insopportabile. E i padri finiscono per pagarne il prezzo politico.


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