E per far ripartire l’economia l’Europa gioca la carta project-bond

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L’Europa gioca la carta dei projectbond per provare a far ripartire l’economia continentale. I nuovi strumenti della Bei potrebbero arrivare a finanziare fino al 20-30% dei 1.600 miliardi necessari per le infrastrutture nella Ue entro il 2020, senza pesare sui bilanci dei singoli paesi in crisi. Bruxelles esaminerà  il piano già  il sette maggio. Obiettivo: far partire la prima emissione entro l’estate. Sul piatto restano due nodi ancora da sciogliere: la ricapitalizzazione da 10 miliardi della Banca europea degli investimenti (l’Italia dovrebbe pagare circa 1,7 miliardi) e il trattamento fiscale dei nuovi titoli. Monti e Barroso: «Chiamiamoli bond per la crescita». MEGLIO poco che niente, dice la saggezza popolare. E in attesa di ammorbidire Angela Merkel e la Bundesbank sul fronte Eurobond (i titoli di stato europei), il Vecchio continente a caccia di idee per far ripartire l’economia gioca la carta dei project-bond. A calare l’asso delle obbligazioni per finanziare le grandi opere Ue sono stati ieri Jose Manuel Barroso e Mario Monti: «Tutti concordano sulla necessità  di agire per la crescita – hanno detto -. E questi strumenti della Banca europea degli investimenti (Bei) sono la chiave decisiva per mobilitare nuovi investimenti». Commissione, Europarlamento e Consiglio dovrebbero gettare le basi per il loro decollo in un incontro congiunto il 7 maggio. E se tutto andrà  bene – cioè se i 27 paesi dell’eurozona si metteranno d’accordo su chi metterà  i 10 miliardi necessari per ricapitalizzare la Bei- il primo bond decollerà  la prossima estate. Aprendo la strada, dicono gli esperti, a un mercato in grado di garantire fino a oltre 300 miliardi di liquidità  per le infrastrutture continentali.

LA GENESI DEL PROGETTO L’idea è semplice: l’Europa è in crisi e i governi a corto di quattrini hanno serie difficoltà  a far ripartire l’economia con il volano delle infrastrutture (solo in Italia gli investimenti sono calati del 38% nell’ultimo biennio). A finanziarle allora sarebbero le emissioni “ad hoc” della Bei legate a singole opere. Un escamotage che consentirebbe di abbassare i costi di finanziamento – i tassi sarebbero più bassi – e di far partire i lavori senza pesare sui bilanci dei paesi in difficoltà . Risultato: accanto al mercato dei titoli di stato nazionali (i classici Btp, Bund e Oat) ne nascerebbe uno parallelo fatto, ad esempio, del “Bond Pedemontana”, di quello per la banda larga tricolore o per le grandi reti elettriche transalpine. A sottoscrivere queste obbligazioni potrebbero essere fondi pensione, banche e assicurazioni alla ricerca di rendimenti sicuri ma superiori all’1,7% che pagano oggi i Bund a dieci anni.

Interessi e capitale sarebbero garantiti dalla cassa generata dalle infrastrutture.

I PRO DEI PROJECT-BOND L’obiettivo dei project bond è ridurre al minimo i costi delle grandi opere. L’Italia – con i decennali al 5,8% e il rating BBB+ – è costretta oggi a pagare tassi da usura per costruire ponti, strade e ferrovie. L’intervento della Bei dovrebbe garantire a questi bond una tripla A, abbassando gli spread «fino al 30%», come prevede uno studio del think-tank Eurofi. Il successo di queste emissioni sarebbe una manna per un’Europa che ha bisogno di 1.600 miliardi di investimenti entro il 2020 ma non ha i soldi per farli partire. La Banca coprirebbe le tranche piùa rischio dei collocamenti, garantendo così il rating massimo ai project bond e consentendone l’acquisto agli investitori istituzionali che per i paletti delle nuove normative (Basilea 3 e Solvency 2) non potrebbero acquistare titoli con voti più bassi.

I CONTRO DEI PROJECT-BOND Per renderli davvero efficaci mancano ancora alcuni tasselli.

Oltre al nodo della ricapitalizzazione della Bei (l’Italia dovrebbe sborsar più o meno 1,7 miliardi sui 10 totali) c’è quello del loro trattamento fiscale. Da rendere più favorevole per non depotenziarne la forza d’urto. La Commissione è al lavoro su questi temi e ha messo a disposizione della Banca 230 milioni per mobilitare i 4,6 miliardi necessari per i primi progetti nel campo dei trasporti e delle reti d’energia. Se i project-bond andranno in porto, saranno loro a garantire il 20-30% dei soldi necessari per le infrastrutture europee, dando una mano in termini di posti di lavoro e punti di Pil per portare il continente fuori dalla crisi dei debiti sovrani.


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