Gli “orfani” di Bin Laden adesso puntano sull’Africa

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NEW YORK – A un anno dall’uccisione di Osama Bin Laden «siamo sulla buona strada per la distruzione totale di Al Qaeda, però resta del lavoro da fare», dice il capo dell’antiterrorismo nell’Amministrazione Obama, John Brennan. L’anniversario del blitz dei Navy Seals coincide con un intensificarsi di messaggi sui siti Internet che alludono a un possibile attentato qui negli Stati Uniti: scatta l’allarme per il Primo maggio. Tuttavia l’Fbi considera quei segnali come «desideri, aspirazioni» più che preparativi concreti, e Brennan conferma: «La capacità  operativa di Al Qaeda di colpirci sul nostro territorio è stata intaccata notevolmente».
Ma il braccio destro di Barack Obama per l’antiterrorismo deve ammettere che il successore di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri, continua a operare dal Pakistan. Inoltre tra le minacce più serie di Al Qaeda c’è il rafforzamento della sua “filiale” in Africa. Il Washington Post pubblica in prima pagina nuove rivelazioni contenute nei documenti che furono sequestrati dai Navy Seals un anno fa, durante il blitz nel rifugio di Bin Laden ad Abbottabad in Pakistan: in quelle carte ci sono «le prove di contatti fra Osama e l’organizzazione Boko Haram in Nigeria, un gruppo che da allora si è unito ad Al Qaeda e ha adottato le stesse tattiche di attacchi suicidi».
L’espansione dell‘organizzazione terroristica ben oltre la zona cosiddetta “Afpak” (Afghanistan-Pakistan) è la ragione per cui l’Amministrazione Obama ha rafforzato l’uso dei droni nelle missioni speciali del Pentagono e della Cia per colpire nello Yemen e in Africa. Anche il segretario alla Difesa Leon Panetta fa un invito alla cautela dicendo che «non esiste la pallottola d’argento, il colpo magico per distruggere Al Qaeda una volta per tutte». Panetta precisa che «più siamo efficaci nell’eliminare coloro che rappresentano la guida spirituale e ideologica, più indeboliremo la minaccia per il nostro paese». Ma proprio sul bilancio “ideologico” dell’offensiva contro Al Qaeda si moltiplicano le preoccupazioni. Dall’inchiesta del Washington Post emerge che il nuovo leader Zawahiri «è meno focalizzato di Bin Laden sull’organizzazione di grandi attacchi sugli Stati Uniti, invece ha spostato l’accento su conflitti regionali, in una fase in cui il messaggio di Al Qaeda può trovare un terreno ricettivo tra i musulmani».
L’Africa è un obiettivo privilegiato, e non a caso l’anniversario dell’uccisione di Bin Laden cade a poche ore di distanza dalle stragi di cristiani in Kenya e Nigeria della milizia somala Shabaab legata proprio ad Al Qaeda. Un opinionista autorevole, David Ignatius, arriva a tracciare un bilancio negativo anche delle primavere arabe: «Nell’anno trascorso dall’uccisione di Bin Laden, per l’Occidente è stato rassicurante pensare che lui ha fallito. Ma se si guarda al suo obiettivo più generale, che era quello di allontanare il mondo islamico dall’influenza occidentale, allora la sua azione si è rivelata più efficace di quanto vogliamo credere». Dalla Tunisia all’Egitto, si moltiplicano i segnali di un’avanzata delle forze fondamentaliste, anche se questi partiti islamici spesso non hanno nulla a che vedere con l’ideologia di Al Qaeda: resta il fatto che Tunisi e il Cairo non hanno abbracciato una democratizzazione in senso filo-occidentale e tantomeno filo-americana.
L’anniversario del blitz dei Navy Seals scatena anche le polemiche elettorali negli Stati Uniti. Lo staff di Obama manda in onda uno spot televisivo dove compare come testimonial anche Bill Clinton per elogiare l’azione del presidente in quel frangente storico di un anno fa. Lo spot mette in dubbio che Mitt Romney sarebbe stato capace di fare lo stesso. Scandalo sul fronte repubblicano, dove il candidato ha definito quella pubblicità  «una strumentalizzazione politica, un attacco fatto per dividere». Ma anche sui media progressisti avanza il dubbio se sia giusto «capitalizzare l’uccisione di Bin Laden» a fini elettorali, e il New York Times dedica una copertina al «guerriero-capo, il premio Nobel della pace che si è rivelato uno dei presidenti americani militarmente più aggressivi negli ultimi decenni».


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