Il voto incerto delle periferie

by Editore | 19 Aprile 2012 8:16

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PARIGI – I sondaggi si ripetono e sembrano confermare che i giochi sono già  fatti: Hollande e Sarkozy al ballottaggio e il candidato socialista ampiamente vincente il 6 maggio. Ma un malessere serpeggia, dietro questo scenario rassicurante. Esiste un rischio di forte astensione, che avvicina il voto di domenica 22 aprile a quello del 21 aprile 2002, quando ci fu la terribile sorpresa di Jean-Marie Le Pen al secondo turno (l’astensione allora era stata al 28% domenica potrebbe toccare il 30%). Rispetto al 2007, che aveva segnato la più bassa astensione elettorale dal ’74, c’è una netta perdita di entusiasmo nell’elettorato. Cinque anni fa, Sarkozy aveva convinto promettendo di «lavorare di più per guadagnare di più» e Ségolène Royal era riuscita a trovare le parole per spingere a votare i giovani abitanti delle periferie urbane. Oggi, la promessa di Sarkozy si è rivelata vana e Hollande, che obtorto collo ha realizzato un veloce «banlieues tour», è accolto con indifferenza nei quartieri popolari delle grandi città , anche se l’elettorato è sulla carta in maggioranza di sinistra (mentre sulla società  difende molte volte valori conservatori). 
Esiste una Francia degli «invisibili», la Francia popolare, che rappresenta il 60% della popolazione, che sembra voltare le spalle alla politica così com’è. Per avvicinarla, il Ps ha organizzato una propaganda porta a porta, con l’obiettivo di raggiungere almeno 5 milioni di famiglie. La messa in pratica di questa iniziativa non è stata facile, l’accoglienza è stata ambivalente. Secondo il sociologo Yamine Soum, «i politici hanno perso il rapporto carnale con la Francia». Perché votare? Cosa può cambiare? Sono tutti uguali: le frasi della disillusione rimbalzano dalle banlieues popolari alle zone periurbane, dove vive una classe medio bassa delusa, piena di paure, prima di tutto per la crisi economica e in secondo luogo per l’insicurezza. In questa delusione si insinua il voto per l’estrema destra. Come ha messo in luce il geografo sociologo Christophe Guilluy, queste classi sociali abbandonate dalla politica, che chiedono protezione, sono concentrate nelle zone di villette a chilometri dal centro delle grandi città . Qui, i sondaggi dicono che Hollande, Sarkozy e Le Pen arrivano alla pari: in altri termini, Hollande è sottorappresentato rispetto alla media nazionale, mentre Marine Le Pen è sovra-rappresentata. In queste zone, descrive il sociologo Michel Bussi, si accumulano «frustrazioni sociali», generate dall’«incrocio di allontanamento scelto e di relegazione subita», e la risultante sono popolazioni vittime di «un’ascensione sociale incompiuta», che si sentono abbandonate. Qui c’è una maggioranza di persone che ha votato «no» al trattato costituzionale, che chiede protezione alle frontiere (secondo un recente sondaggio, il 70% è a favore dei diritti doganali ai confini dell’Europa e il 62% ai confini della Francia, se la Ue lo rifiuta). La sinistra non parla più a questa popolazione. Non è l’elettorato di Mélenchon. Addirittura, il think tank Terra Nova, vicino ai socialisti, aveva fatto scandalo, qualche mese fa, quando aveva proposto a Hollande di concentrare la battaglia sulle classi medie urbane, disinteressandosi delle classi popolari, ormai date per perse. Un gruppo di intellettuali, tra cui Guilluy, aveva reagito con un testo a difesa di una «sinistra popolare», ma senza grandi risultati. Le fabbriche hanno certo occupato parte della campagna, Hollande e Mélenchon si sono schierati a fianco degli operai per lottare contro le chiusure. Ma qui si tratta di un terreno tradizionale, dei lavoratori, dei sindacati.
Se la sinistra ha poche speranze di avere successo nella Francia degli invisibili delle villette, conserva invece un forte retroterra nelle banlieues. Ma su questo fronte c’è un calo di mobilitazione: il Pcf, che una volta aveva fatto di queste aree i suoi bastioni, perde terreno (malgrado la dinamica di Mélénchon) e la scarsa affluenza alle urne, tradizionale nelle periferie, ha favorito il disinteressamento. Le rivolte del 2005 sono ormai lontane e nessuno ne vuole più sentir parlare. Hollande, suscitando le proteste dei sindaci delle città  di periferia, ha scelto di non rivolgersi alle banlieues in modo specifico e parla semplicemente di riportare il «diritto comune» in questi quartieri come nelle zone rurali. «La politica specifica per la banlieue la esclude dal diritto comune» taglia corto Marianne Louis, responsabile delle aree rubane per il Ps. «È un argomento a rischio per la sinistra – commenta il sociologo Jacques Donzelot – nel clima attuale di angoscia legata alla crisi, qualsiasi forte sollecitudine a favore dei quartieri periferici viene percepita come un’attenzione particolare nei confronti degli immigrati e questo fa perdere voti». Ma la sinistra avrebbe nelle banlieue una forte riserva di voti, se solo si fosse decisa a fare delle proposte: «In questi quartieri – dice il politologo Vincent Tiberj – c’è un elettorato schierato a sinistra almeno alla pari di quanto artigiani e commercianti lo sono a destra». Hollande spera di convincere le banlieues a votare per lui, perché gli abitanti sono più giovani e lui ha messo la gioventù al centro del suo programma. Negli anni, la questione delle periferie è stata principalmente affrontata, a sinistra come a destra, sotto l’angolo del rinnovamento urbano (Sarkozy si vanta di aver stanziato 45 miliardi durante il suo mandato): ma la demolizione e ricostruzione dell’habitat dei quartieri poveri ha ormai mostrato i suoi limiti.

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