Intervista a Mikael Damberg «Il rigore non basta. Fate come noi: investite sul welfare»

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Molti analisti lo dipingono come l’astro nascente della politica svedese. C’è chi si azzarda a pronosticargli un futuro da primo ministro. Lui, neo presidente del gruppo parlamentare del Partito sociademocratico svedese, su come uscire dalla crisi che investe l’Europa, parla della «ricetta svedese»: «Puntare sulla partecipazione femminile al mondo del lavoro e investire nel sapere». Mikael Damberg, 40 anni, è tra i protagonisti del II Meeting internazionale dei leader parlamentari progressisti, apertosi ieri a Roma, promosso dal Pd e dal gruppo parlamentare alla Camera. «È ora di fare un passo in avanti rimarca Damberg perché gli spazi per ripartire e trovare nuove forme di sviluppo ci sono. Serve un patto rigoroso che coinvolga tutto il sistema economico affinché questo sia più equilibrato e integrato. Il futuro dell’Europa si gioca con il resto del mondo e non nell’isolamento. Il primo passo importante saranno le elezioni francesi che rappresentano l’occasione di una svolta contro le destre la cui politica europea è tra le principali responsabili della grande crisi».
Qual è lo stato dell’Europa visto dal Nord?
«Uno stato di debolezza strutturale, con debito pubblico sempre più alto e tassi di crescita tendenti decisamente al basso. L’Europa è oggi il punto debole dell’economia mondiale. Una condizione da cui si può e si deve uscire al più presto. C’è una domanda ineludibile da cui partire…».
Quale?
«Che oggi il quadro delle risorse non sia ottimale, è chiaro a tutti. Ma detto questo, dobbiamo chiederci se l’Europa stia gestendo queste risorse disponibili nel modo ottimale. La risposta non può che essere negativa. Da qui occorre partire per voltare pagina».
Da dove partire?
«Da un approccio diverso a una questione cruciale: come affrontare la disciplina di bilancio. La risposta dei conservatori non ha funzionato. Le forze socialiste e progressiste europee devono farsi portatrici di una visione più lungimirante. Il che non significa affatto mettere tra parentesi la necessità  del risparmio e di misure rigorose soprattutto in Paesi, come la Grecia e la Spagna, che hanno un fortissimo indebitamento. Sia chiaro: assumere misure rigorose è un passaggio obbligato. Per tutti. Se la Svezia può discutere oggi di investimenti nell’istruzione o in altri campi strategici, se possiamo ragionare su un “nuovo welfare” è proprio perché abbiamo agito sull’abbattimento del debito. Ma non ci siamo fermati a questa prima fase. Le risorse devono essere gestite saggiamente, ma i governi conservatori in Europa non sembrano dotati della necessaria “saggezza”». Dal suo osservatorio, cosa significa gestire con lungimiranza le risorse? «Investire nel capitale umano, nell’istruzione, in un insegnamento di qualità . Un discorso che dalla Svezia proietto in Europa. L’Europa può competere nell’economia mondiale se punta sul sapere. Insisto su questo punto: gli investimenti in ricerca e sviluppo sono necessari sia per aumentare la domanda ma anche per rafforzare la competività  dell’Europa nel mondo. La concorrenza ci sarà  sulla conoscenza e non sui salari bassi». Il sapere, e poi?
«Una saggia gestione delle risorse deve tener conto, ad esempio, dei vincoli ambientali. Trasformando questi vincoli in un nuovo, potente volano per uno sviluppo sostenibile».
In precedenza, lei ha fatto riferimento al «capitale umano» su cui investire.
«Un capitale al femminile. Puntare sulle donne come leva della crescita. Il che significa, tra l’altro, realizzare le condizioni perché questo protagonismo possa determinarsi: il che significa politiche di sostegno alla famiglia, tempi di lavoro che non costringano le donne a dover scegliere tra lavoro e famiglia. Una economia a misura delle donne può far crescere dell’11% il Pil in Europa. Non è una utopia, un’illusione, è una prospettiva praticabile, se supportata da una volontà  politica che non si confina all’interno dl singolo Stato ma diviene scelta comune, sovranazionale, europea. L’aver puntato sulla partecipazione femminile al mondo del lavoro, così come aver investito sul sapere, è la chiave del successo del welfare scandinavo. Una via che va rilanciata in chiave europea. Non si tratta di imporre un modello, non abbiamo questa presunzione, ma di socializzare una esperienza che ha dato buoni frutti».
C’è chi vede molte più ombre che luci sul futuro dell’Europa.
«Non sono di questo avviso. Nonostante tutto, sono ottimista. Un ottimismo che potrebbe uscire rafforzato da una vittoria socialista in Francia. Un successo di Francois Hollande alle presidenziali rappresenterebbe un primo, cruciale passo per porre fine al predominio delle destre che si è rivelato distruttivo per l’Europa».


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Scriveva ma non era soltanto uno scrittore. Pescava  coi pescatori di Gaza e non era un pescatore. Registrava interviste e raccoglieva storie ma non faceva solo il giornalista. Se serviva stava coi netturbini e coi contadini  e li accompagnava nella buffer zone,  al confine tra Gaza e Israele. Stilava report sui diritti umani negati. Organizzava convogli come quello della Freedom Flotillia. Manifestava contro l’occupazione. 

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