Italia dei beni comuni, parte il non-partito

Loading

«Inizia un percorso». Gli organizzatori si raccomandano di non scrivere molto più di questo. Perché l’appuntamento di oggi a Firenze, la «partenza» del «non partito» – lanciato dal manifesto per i beni comuni e per «un’altra politica nelle forme e nelle passioni» il 29 marzo scorso, e di cui si è discusso, e anche parecchio, sulle pagine del manifesto e sulla rete – è una vera partenza al buio. Si annunciano molti partecipanti, e infatti è stata prenotata una platea da 1500 persone. Ma la giornata di oggi è stata scandita con quattro interventi iniziali, di quattro dei primi firmatari del manifesto, una sorta di relazione introduttiva a quattro voci (Marco Revelli, Nicoletta Pirotta, Claudio Giorno della Val Susa e Paul Ginsborg). In sala sarà  distribuito un testo di Luciano Gallino, intitolato provocatoriamente «Come creare un milione di posti di lavoro».
Per il resto, si procede senza rete: sette minuti a intervento, ciascuno degli interventi potrà  fare la sua proposta e indicare la direzione verso cui dovrebbe salpare la nave. 
Non sono previste special guest: il sindaco De Magistris ha inviato gli auguri ma non ci sarà , Nichi Vendola lo stesso, per impegni di campagna elettorale, ma ci sarà  il suo braccio destro Nicola Fratoianni. Ci sarà  invece Paolo Ferrero, segretario del Prc. Ma per tutti varrà  la regola dei sette minuti.
Di certo è che si discuterà  di due prime «discriminanti», come è stato chiaro dai testi ricevuti in questi giorni da chi ha annunciato la propria partecipazione allegando una «motivazione»: il no alla riforma del pareggio in bilancio in costituzione e alla riforma del lavoro in discussione in parlamento. Per il momento sono gli unici due punti fermi di un «programma» che non c’è, ancora (l’assenza di progetto è una delle critiche mosse al non-partito da Rossana Rossanda) ed è tutto da discutere, e scrivere, e approfondire, nella successiva «due giorni» immaginata per giugno. 
Il «progetto» sarà  il core business della discussione. La differenza fra «bene comune» e «beni comuni», anche: anche perché è fresco di ieri l’intervento con cui Asor Rosa (sul manifesto) rintraccia la «dottrina del bene comune » di Tommaso d’Aquino nel «progetto» del soggetto politico nuovo. 
E poi c’è il tema della forma del non-partito, e le questioni di «metodo». Perché il soggetto politico nuovo propone, almeno nelle intenzioni, «un salto di paradigma anche negli strumenti organizzativi», spiega Marco Revelli, «che non possono essere quelli tradizionali – centralistici, verticali e gerarchici – delle burocrazie dominanti, ma che sappiano praticare, all’opposto, l’orizzontalità  della rete, la comunicazione decentrata, l’eguaglianza nella parola e nell’ascolto tra diversi. Tutto questo vuol dire, come ci è stato contestato, rimuovere il “conflitto sociale”? Cancellare le “forme di organizzazione” in nome di uno spontaneismo un po’ anarchico? O non significa, piuttosto, ripensare il conflitto – e insieme l’organizzazione – nelle forme in cui ce lo ripropone quello che Gallino ha definito il finanz-capitalismo (che non cancella le classi sociali, ma che le ridisegna in forma del tutto inedita)? D’altra parte, che ne penseremmo se qualcuno, dopo il 1848, avesse continuato a proporre i vecchi club del 1789, come strumenti della lotta politica e la jacquerie contadina come via all’emancipazione?».
Last but not least, la questione del nome. C’è persino chi chiede di andare avanti prima di decidere. Insieme ai criteri per nominare un coordinamento nazionale, anche il nome si decide oggi, verrà  scelto dalla platea da una rosa di quattro selezionata sul sito. Sono: Alba, Alleanza lavoro benicomuni ambiente; Lavoro e beni comuni; alternativa democratica; e infine Italia Bene Comune. 
Quest’ultimo non passerebbe inosservato. Perché è anche il nome che Bersani ha scelto per la campagna delle amministrative del suo Pd. Facendo per l’occasione stampare migliaia di felpe blu con slogan più tanto di collo e polsini tricolori. Un’appropriazione indebita per il partito che fino all’ultimo non ha voluto schierarsi apertamente con i referendum per l’acqua pubblica, quelli che poi hanno portato al voto 27 milioni di persone. E un partito che ha votato due decreti Monti per le liberalizzazioni che i referendari hanno definito «tentativi sfrontati di negare il risultato di quei referendum». Salvo poi utilizzarne il logo del «bene comune» per marketing elettorale, dopo aver scoperto che funziona, ora che il vento è cambiato.


Related Articles

I Verdi contro il governo: sull’Ilva nasconde i dati “A Taranto boom di morti da tumore”

Loading

La denuncia: +35% di mortalità  tra i bambini, +306% di mesoteliomi. Clini querela    

Fiat, sindacati contro in tribunale Fim e Uilm sfidano la Fiom

Loading

“Tesi offensive sul sì a Pomigliano”. “Accordo illegittimo”. La Marcegaglia: “Confindustria sta lavorando alacremente per fare un accordo sulla rappresentanza in fabbrica”

“Giusto sabotare la Tav”, bufera su Erri De Luca

Loading

Lo scrittore attacca Caselli. E sul web scoppia la polemica: “Cattivo maestro come Toni Negri”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment