La guerra in Mali non si ferma

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Un avvenimento che riveste un’importanza non secondaria non solo sulle scacchiere regionale perché negli scorsi anni il paese aveva dato provadi incamminarsi sulla via di uno sviluppo possibile e sostenibile. Occorre poi ricordare che il Mali, uno dei paesi africani con maggiore storia e cultura, è sostanzialmente diviso in due dal corso del fiume Niger: a nord incontriamo un vastissimo territorio in pieno deserto (chiamato Azawad), popolato da tuareg, berberi e arabi; a sud del fiume la terra più fertile è abitata da neri, soprattutto di etnia bambara, che detengono il potere, spalleggiati dalla Francia e poi dagli Stati Uniti, fin dall’indipendenza.

Un conflitto ventennale. Dal 1990 è in corso un conflitto tra queste due regioni con i tuareg che, attraverso il Movimento nazionale per l’indipendenza dell’Azawad(Mnla, l’ultima dizione di un eterogeneo gruppo politico militare evolutosi nel tempo), vogliono distaccarsi dallo Stato centrale. Alterne vicende avevano portato nel 2006 ad una fragile pace: ma all’inizio del 2012 gli scontri si sono riaccesi più violenti, con i tuareg decisi a sferrare un attacco su larga scala. Queste milizie infatti, colpite negli anni scorsi anche dall’esercito americano con la motivazione di combattere il terrorismo nel Sahara, si sono di molto rinforzate in uomini e in armamenti, a seguito della caduta del regime di Gheddafi che aveva tra le sue fila molti combattenti tuareg. La lunga militanza in Libia ha fatto incontrare questi mercenari con combattenti salafiti (integralisti islamici, etichettati arbitrariamente come membri di Al Qaeda) tingendo il movimento indipendentista di inquietanti sfumature. Così, da gennaio in poi, il nord del paese è teatro di scontri con il conseguente flusso di profughi interni oppure diretti ai paesi limitrofi.

Il golpe. Al presidente in carica sembrava essere sfuggita di mano la situazione, mentre gente comune scendeva in piazza alle notizie della rotta dell’esercito regolare in molte città  del nord con la morte di molti soldati. Touré doveva essere rimosso. Questo anche il convincimento dei militari golpisti, guidati dal capitano Sanogo, che sono passati all’azione proprio in nome di un rinnovato nazionalismo maliano e per passare alla controffensiva verso i tuareg. La giunta provvisoria ha sospeso la Costituzione e quindi le elezioni presidenziali in programma il prossimo 29 aprile, promettendo però di ridare in breve tempo il potere ai civili e la parola al popolo. Il baldanzoso Sanogo, che porta sul petto una decorazione dell’esercito americano per aver soggiornato da giovane in una base in Virginia, sembra però aver sbagliato completamente i suoi conti, in particolare dal punto di vista strategico militare.

Gli eventi degli ultimi 10 giorni sono stati tutto un precipitare. All’indomani del golpe tutti gli organismi regionali e internazionali hanno protestato vivamente: la Comunità  economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) ha sospeso il Mali, così come ha fatto l’Unione Africana, la Banca mondiale minaccia di congelare gli aiuti economici, gli Stati Uniti quelli militari. La peculiarità  della situazione, incontrollabile e incontrollata da tutti gli attori in gioco, si può cogliere nella fallita missione di pacificazione tentata dai presidenti della Costa d’Avorio, del Benin, del Niger e del Burkina Faso che, il 29 marzo, hanno potuto soltanto sorvolare l’aeroporto di Bamako, capitale del Mali, senza atterrare, ufficialmente per “motivi di sicurezza”. La mediazione verrà  riproposta il 2 aprile a Dakar in Senegal, con poche possibilità  di riuscita.

I tuareg verso la capitale. Anche perché i tuareg hanno travolto ogni resistenza conquistando le principali città  del nord: Kidal, da cui giungono notizie allarmanti per la sorte dei civili, Gao e in ultimo la storica città  di Timbuctù. I golpisti non sanno che fare, il presidente deposto parla affermando di essere pronto a ritornare in sella, ma intanto sono solo le armi a risuonare e a modificare, di ora in ora, la situazione.

Difficile una previsione sull’andamento futuro della crisi. Si deve però notare con preoccupazione il ripetersi dei colpi di Stato in Africa occidentale, dopo quelli del 2010 in Niger e soprattutto in Costa d’Avorio, con il sostegno francese al presidente Ouattara ela consegna al tribunale dell’Aia di Laurent Gbagbo.

Il ruolo della Francia è stato sempre pesantemente ambiguo nei confronti di una zona dell’Africa ritenuta “di competenza” di Parigi: nel caso del Mali molte volte il governo francese si è detto preoccupato dell’incapacità  di Touré di combattere il terrorismo. La partita maliana investe dunque equilibri duraturi con il rischio concreto di un incendio destinato a varcare molti confini.


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