La metropoli delle due ruote Londra riscopre la lentezza

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LONDRA. Il sindaco la usa per andare al lavoro, il primo ministro – visto che lui ha la casa sopra la bottega – la prende per sgranchirsi le gambe, sua moglie ovvero la first-lady ci sale sopra per fare la spesa o lo shopping. Dall’attentato nel metrò del 2005 è aumentato del 17 per cento il numero di quelli che la scelgono come mezzo per andare in ufficio. E da due anni 8 mila londinesi (nel senso di persone che si trovano nella capitale, dunque turisti compresi) possono utilizzarne una municipale nello stesso momento, prelevandola in uno dei 500 parcheggi sparsi dovunque e depositandola in un altro quando vogliono. Londra è diventata la metropoli delle biciclette, delle piste ciclabili e della “slow life”: per questo è stata appena premiata come “Città  della Lentezza 2012”, in omaggio a un ritmo più umano di muoversi e a una vita ecosostenibile.
Beninteso, ci sono anche le auto, i bus a due piani e i camion a rimorchio nelle strade di Londra, inclusi quelli così lunghi che il conducente ha un paio di angoli ciechi in cui non vede niente nello specchietto retrovisore. E proprio i veicoli pesanti sono tra i principali responsabili di incidenti che hanno fatto strage di ciclisti negli ultimi anni in tutta l’Inghilterra: per avere un termine di paragone, dal 2001 ad oggi 576 soldati britannici hanno perso la vita nelle guerre in Afghanistan e in Iraq, ma nello stesso decennio 1275 persone sono morte pedalando su due ruote nel Regno Unito. E nella prima metà  del 2011 (l’ultimo periodo di cui si hanno statistiche complete) il numero delle vittime è salito a 1850 tra morti e feriti, un aumento del 12 per cento rispetto all’anno precedente. Tra i feriti gravi c’è Kaya Burgess, giovane reporter del Times, investita da un camion a un incrocio nel novembre scorso e da allora in coma: una tragedia che ha spinto il quotidiano della capitale a lanciare una campagna per salvare i ciclisti, “Cities fit for cyclists” (Città  fatte per chi va in bici). Ha già  ottenuto il sostegno di tutti i candidati alle elezioni del 3 maggio per il sindaco di Londra, incluso Boris Johnson, primo cittadino uscente e lui stesso cicloamatore, e il 28 aprile porterà  migliaia di ciclisti nelle strade di Londra, Edimburgo e altre città  inglesi e straniere tra cui Roma, per una bici-manifestazione internazionale di protesta in difesa di corsie riservate e protezioni più adeguate per chi pedala.
«La bici fa bene alla gente e alle città », dice Johnson, che si fa un vanto di utilizzare la sua (quasi) tutte le mattine per recarsi al lavoro. Fa bene alla gente perché è un’attività  sportiva, e a meno di cento giorni dalle Olimpiadi di Londra qui si fa un gran parlare dei programmi per sensibilizzare l’opinione pubblica a una vita più attiva e più sana: in Gran Bretagna l’obesità  sta diventando una malattia di massa, ma si vedono pochi obesi tra chi va in bicicletta. E la bici fa altrettanto bene alle città , spiega Johnson, perché diminuisce l’inquinamento, snellisce il traffico e non consuma alcun carburante, tranne quello delle gambe. Con un’idea bipartisan, perché lanciata dal suo predecessore laburista Ken Livingstone (che quest’anno torna a sfidarlo sperando di prendersi la rivincita) e ripresa da lui che è conservatore, due anni fa Johnson ha introdotto “Barclays Bike”, dal nome dello sponsor, peraltro soprannominata “Boris Bike”, con il suo nome: 8 mila bici che si prendono in consegna in 500 parcheggi incustoditi facendo scorrere una carta di credito nell’apposita fessura. La gente le piglia al posto dell’autobus o del metrò per andare in ufficio, a fare acquisti, a trovare un amico, a ritirare la lavanderia, poi magari continua a piedi per un pezzo e prende un’altra bici a un altro parcheggio per tornare a casa.
L’aumento degli incidenti ai danni dei ciclisti, sostiene qualcuno, è insomma dovuto anche al fatto che aumentano i ciclisti: che sono già  tanti, il Regno Unito è il paese d’Europa con più ciclisti competitivi, quelli che fanno le corse dilettanti. Per rendere le strade più sicure, il Times ha preparato un decalogo, subito adottato anche in altri paesi, che suona come un manifesto per l’ambiente: 20 miglia all’ora come velocità  massima consentita agli autoveicoli in città  prive di corsie per ciclisti, 2 per cento del budget delle autostrade assegnato allo sviluppo di un nuova generazione di corsie ciclabili, benefici alle aziende che (come la banca Barclays) sponsorizzano noleggi di bici municipali, un registro nazionale per sapere quanti sono esattamente coloro che hanno e usano la bicicletta. A Londra i primi a iscriversi saranno probabilmente il sindaco Johnson, il premier Cameron e sua moglie Samantha: un po’ per ragioni propagandistiche, forse, perché pedalando pedalando sono arrivati al potere. Ma è sempre meglio, per tutti, che se ci andassero in macchina.


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