La nuova resistenza si diffonde in piazza

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È un 25 aprile speciale quello che il manifesto festeggia domani. Non siamo nel ’94, l’obiettivo non è più la liberazione da Berlusconi come a Milano, sotto una pioggia impietosa, 28 anni fa. Questa volta c’è da liberare lo stesso manifesto: dai suoi debiti pregressi, dall’angoscia del pareggio di bilancio. Ma anche dai suoi vizi e dai suoi ritardi. Se prima si andava in edicola per avere le notizie, oggi le notizie sono già  vecchie prima che il giornale venga stampato. Lo sappiamo tutti, e i lettori e i commensali sottoscrittori ce lo ricordano a ogni cena o dibattito. Non è dall’ignoranza dei fatti che ci si deve liberare nel rito mattutino dal giornalaio, semmai ci si chiedono chiavi di lettura, approfondimenti, tante inchieste, nessi tra le notizie più disparate e, talvolta ci dicono, persino dei nessi tra le nostre stesse pagine.
40, 30 o ancora 20 anni fa era normale che tante compagne e compagni si recassero alle manifestazioni del 25 aprile con lo zainetto pieno di copie da diffondere. Che accada oggi è un miracolo e i miracoli a volte accadono.
L’allarme per il manifesto ha rivitalizzato mai domi compagni di ieri e scosso ragazzi e ragazze di oggi. E domani potrebbe capitarvi di incontrare nei cortei gli «strilloni» che vi invitano a un rito collettivo che potrebbe essere persino liberatorio. Dai luoghi della memoria partigiana alle città  dell’Emilia, della Romagna, dell’Umbria, della Toscana, del Veneto, di Roma, squadre di diffusori sono in agguato. Liberare il manifesto da una maledizione, ci dicono, è anche liberare se stessi dal torpore, da una fiducia nelle magnifiche sorti e progressive che potrebbe essere fuori tempo. 
Si dice, anche in redazione, che i circoli e i gruppi di sostenitori, i partecipanti alle cene finalizzate a rilanciare il giornale e gli abbonamenti, sarebbero lo «zoccolo duro» fatto da chi ha più passato alle spalle, magari glorioso, che futuro davanti. Allora sentite questa: un compagno di Voghera con molte sottoscrizioni alle spalle si trova a Firenze per lavoro, legge sul giornale di una cena promossa da chissà  quali manifestini locali e decide di partecipare pensando di incontrare combattenti e reduci come lui. Invece finisce in mezzo a ragazzi più piccoli dei suoi figli, se ne rallegra ma si sente imbarazzato, lascia i soldi della cena ai nostri «agit-prop» e va a mangiarsi un panino in solitaria da qualche altra parte.
Certo, c’è chi non riesce a liberarsi da un dolore e a un’assemblea a Latina – mica vero che dalle parte di canale Mussolini sono tutti nostalgici del Duce, ce ne sono di compagni presidi, studenti e contadini – pronti a sottoscrivere quote per abbonamenti al giornale – racconta che quell’unica bandiera rossa, un’antica bandiera di famiglia, al funerale di Luigi Pintor in piazza Farnese era portata come un fardello da lei, insegnante in pensione che ha tante cose da insegnarci. 
Poi ci sono gli operai, preferibilmente metalmeccanici, che oltre al manifesto devono liberare se stessi dalle fanfaluche del dio mercato interpretate al meglio da Marchionne e Fornero. Ma può anche capitare che a Rimini la segretaria della Fiom si trovi, tra un risotto allo scoglio e una spilletta disegnata da Vauro che ordina l’acquisto del giornale, gomito a gomito con un imprenditore metalmeccanico, e mica tanto piccolo visto che dà  lavoro («prende lavoro», mi corregge la compagna sindacalista che se ne fotte di cosa legga il suo padrone) a 300 dipendenti. E’ proprio suo (dell’imprenditore, non della sindacalista) quello splendido locale sulle palafitte, in fondo al molo di Rimini, in cui si incontrano senza pagar dazio 124 manifestini di ieri e di oggi affamati di sinistra. Cose così capitano solo quando a chiamare a raccolta sono compagni che sventolano il manifesto. Un «marchio», il nostro, che può unire frammenti di cultura critica implosa o nascente, politica o sociale.
C’è chi dice: vederci per sostenere il manifesto serve soprattutto a noi. Dare un futuro a questo giornale è possibile solo se ricominciamo a far politica insieme. Magari con il «soggetto politico nuovo», o magari no, si vedrà , intanto si va a dare un’occhiata a Firenze sabato prossimo. Ma prima c’è il 25 aprile da festeggiare con pile di giornali pronti per l’uso. A Bologna, come a Roma e in Versilia, i «diffusori» hanno già  fatto le prove generali ai mercati, davanti alle scuole e alle fabbriche. E visto che ci sono, gli indomiti circoli rilanciano: perché non replicare anche il 1° maggio? Così sarà  ancora più chiaro che il manifesto siamo anche tutti noi.


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