La Procura sul caso Orlandi «In Vaticano qualcuno sa»

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ROMA — Quando pareva tutto pronto per l’apertura della tomba del boss sepolto in basilica, al punto che giornalisti e teleoperatori si apprestavano a presidiare Sant’Apollinare anche di notte per non perdere lo scoop atteso da 29 anni, la Procura di Roma aziona la retromarcia. «No, quel sepolcro può restare chiuso. Non ci aspettiamo di trovare resti o tracce della ragazza». Un’indicazione, quella trapelata ieri da Piazzale Clodio, sulle prime interpretata come una resa: parce sepulto. Enrico De Pedis detto «Renatino», il capo della banda della Magliana ucciso nel 1990, continui pure a riposare con gli inspiegabili onori. 
La decisione sulla tomba, però, era solo la premessa. Altro è stato il messaggio destinato a riaccendere i riflettori sul caso di Emanuela Orlandi, la figlia del messo pontificio Ercole, scomparsa nel 1983. «In Vaticano qualcuno sa…». O anche: «Dentro le sacre mura è ancora in vita qualcuno a conoscenza di elementi di verità  a livello indiziario». Mezze frasi filtrate senza una dichiarazione ufficiale, in modo irrituale. Ma tant’è. Di certo, in quasi tre decenni, mai c’era stato un attacco così frontale alle presunte «omertà » delle gerarchie ecclesiastiche. I magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che dal 2008 puntavano sul ruolo dei boss della Magliana (con la complicità  del solo, defunto, presidente dello Ior Paul Marcinkus), adesso cambiano linea. Guardano Oltretevere. Fanno intendere che più di un alto prelato ha taciuto elementi importanti. È come se, dopo aver preso sul serio le rivelazioni dell’ex amante di De Pedis Sabrina Minardi e indagato tre esponenti minori della famigerata gang romana, ora la Procura avverta l’urgenza di alzare il piano. Di risalire ai mandanti. 
«Le dichiarazioni del procuratore aggiunto Capaldo sono coraggiose, è interesse di tutti che si vada fino in fondo nell’accertamento della verità », ha detto Walter Veltroni, che nei giorni scorsi, alla Camera, aveva sollevato il caso De Pedis, inducendo il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri a chiarire che «la basilica non gode dell’extraterritorialità » e, quindi, che la tomba poteva essere scoperchiata seduta stante.
«Mi aspetto una risposta del Vaticano, il silenzio sta diventando imbarazzante. Probabilmente i pm conoscono i nomi di queste personalità , che mi auguro si presentino spontaneamente», ha commentato Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, la cui battaglia per la verità  negli ultimi mesi lo ha portato a organizzare un sit-in a San Pietro, un altro a Sant’Apollinare (dove si intrufolò un gendarme per fotografare i presenti) e, ancora, a lanciare una petizione al papa che ha raccolto 75 mila adesioni. Tempo fa lo stesso Orlandi ha incontrato padre Georg, il segretario di Ratzinger, e il cardinal Giovanni Battista Re, all’epoca assessore alla Segreteria di Stato: «Il suo nome mi era stato fatto da Agca che ho incontrato in Turchia dopo la sua scarcerazione». E cosa è emerso? «Il cardinal Re mi ha detto che secondo lui i responsabili dell’attentato a Wojtyla, i Paesi dell’Est, potrebbero aver preso Emanuela per impedire ad Agca di fare i nomi dei mandanti, promettendogli la libertà ». Una pista, quella politico-terroristica, che si riapre? E che si aggiunge a quella dei forti finanziamenti a Solidarnosc, voluti dal papa polacco e mal digeriti da molti nella Santa Sede? O fors’anche a una terza, il sequestro a sfondo sessuale? Tanti scenari, tutti di nuovo attuali. Nella speranza infinita di dare un nome ai rapitori della «ragazza con la fascetta».


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