L’acqua in guerra sulle sponde dei grandi fiumi: l’allarme degli USA

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In realtà  già  nel 2006 Vandana Shiva pubblicava un libro intitolato appunto “Le guerre dell’acqua” nel quale la studiosa indiana passava in rassegna tra l’altro il rapporto che le più diverse tradizioni e culture del mondo avevano e hanno con l’acqua, intesa sempre come un bene comune. Scrive Shiva: “Storicamente, quello relativo all’acqua è sempre stato trattato come un diritto naturale – un diritto che deriva dalla natura umana, dalle condizioni storiche, dalle esigenze elementari e dalle idee di giustizia. I diritti all’acqua come i diritti naturali non nascono con lo stato: scaturiscono da un dato consenso ecologico all’esistenza umana. In quanto diritti naturali, quelli dell’acqua sono diritti di usufrutto; l’acqua può essere utilizzata ma non posseduta”. Oggi la tendenza è di trattare l’acqua come una merce; di qui la grande mobilitazione internazionale, le campagne di sensibilizzazione, il referendum in Italia.

Nei prossimi anni la questione idrica rischia di fare un salto di qualità . I problemi non sono tanto legati alla privatizzazione ma ai cambiamenti climatici (che produrranno eventi meteorologici e climatici estremi, inondazioni e carestie, desertificazione e scompensi tra acque dolci e salate, deterioramento delle fonti e problemi alle falde acquifere) e alle tensioni politiche. Questo emerge chiaramente dal “Global Water Security” (consultabile in .pdf), un documento della DNI, la direzione dell’Intelligence americana, reso pubblico nel febbraio 2012 su iniziativa della Segreteria di Stato.

Attacchi terroristici alle dighe, deviazione di fiumi per ritorsione, inquinamenti vari sono gli scenari inquietanti a cui l’amministrazione Obama vuole rispondere con una grande iniziativa internazionale, ovviamente a guida americana, chiamata Water Partnership: si tratta di mettere in piedi un Network tra soggetti pubblici, Ong, associazioni varie, in grado di affrontare questioni che saranno sempre più interconnesse a livello globale.

I fiumi della discordia. Otto grandi fiumi saranno l’epicentro delle tensioni: il Nilo, il Tigri, l’Eufrate, il Giordano, l’Indo, il Brahamaputra, il Mekong, l’Amu Darya. Commenta Maurizio Molinari, giornalista de La Stampa: “Il primo fiume indicato è il Nilo perché l’Egitto, in crescita demografica esponenziale, è destinato a dipendere sempre di più dall’acqua che trasporta, originandosi dal Lago Vittoria fra Kenya e Tanzania, e dal Lago Tana in Etiopia, per poi attraversare il Sudan con cui vi sono molteplici contenziosi aperti. Le potenziali tensioni fra Khartoum e Il Cairo sembrano essere quelle che preoccupano di più l’intelligence Usa, al pari di quelle fra Turchia e Iraq a causa di Tigri ed Eufrate, i due grandi corsi d’acqua che dall’Antica Mesopotamia hanno sempre segnato gli equilibri di potere in Medio Oriente e potrebbero assicurare ad Ankara, che ne controlla le sorgenti, un ruolo di potenza egemone su un’area del mondo arabo che si estende dalla Siria fino al Kuwait. L’altro fiume ad alto rischio in Medio Oriente è il Giordano, che si origina dalle Alture del Golan al centro del contenzioso fra Israele e Siria, scorrendo poi lungo il confine fra Stato ebraico e Giordania attraverso i territori sui quali potrebbe sorgere lo Stato palestinese. La scarsità  di acqua potabile in questa regione, evidenziata dal livello in costante discesa del Lago di Tiberiade e del Mar Morto, lascia intendere che proprio la suddivisione delle risorse del Giordano potrebbe innescare futuri conflitti fra Gerusalemme, Amman e Ramallah”. Stesso discorso potrebbe essere ripetuto per la questione delle sorgenti dei grandi fiumi dell’Asia sudorientale che sono ubicate nel Tibet strettamente controllato dai cinesi, oppure per le tensioni generate dalle dighe sul Mekong.

È proprio la gestione condivisa e concorde dei bacini fluviali che deciderà  la soluzione di eventuali controversie. Scrive Famiglia Cristiana: “La Banca mondiale ha stimato, recentemente, che l’acqua di 263 bacini fluviali (dal Nilo al Mekong) è uno dei principali fattori di crisi, e potrebbe portare allo scoppio di conflitti bellici. Questi bacini coprono il 45 per cento delle terre emerse e intorno a essi vive il 40 per cento della popolazione mondiale. È evidente che qualunque decisione assunta da un solo Paese può avere pesanti ripercussioni sui Paesi vicini. Finora non sono scoppiate delle vere e proprie guerre, ma le tensioni in queste aree sono in aumento e il futuro è ancora più inquietante. Emanuele Fantini, esperto di cooperazione internazionale in materia di risorse idriche, definisce «idropolitica» l’insieme di rapporti, spesso conflittuali, che si vengono a creare tra gli Stati che condividono lo stesso bacino idrico”.


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