L’EUROPA PUà’ SALVARSI SE SI LIBERA DELL’EURO

Loading

Soltanto pochi mesi fa nutrivo qualche speranza per l’Europa. Forse ricorderete che alla fine dell’autunno scorso l’Europa sembrava sull’orlo di una catastrofe finanziaria. Ma la Banca centrale europea – l’equivalente europeo della Fed – corse in aiuto dell’Europa. Concesse alle banche europee linee di credito aperte a condizione che esse offrissero come collaterali i cosiddetti “eurobond”. Ciò servì a puntellare direttamente le banche e indirettamente i governi e mise fine al panico.
La situazione a quel punto cambiò: si trattava di capire se quell’intervento temerario ed efficace sarebbe stato l’inizio di un più ampio cambiamento; se la leadership europea avrebbe utilizzato il margine di respiro creato dalle banche per riprendere in considerazione le politiche che in primis avevano portato a una crisi tanto profonda.
Così, però, non è stato. Anzi: i leader europei hanno rilanciato e ribadito le loro idee e le loro politiche fallimentari. E di giorno in giorno diventa sempre più difficile credere che qualcosa possa indurli a cambiare strada.
Prendete in considerazione la situazione della Spagna, che è ora l’epicentro della crisi. Non parliamo più di recessione in questo caso: la Spagna è in piena e palese depressione con un tasso complessivo di disoccupazione pari al 23,6 per cento, paragonabile a quello dell’America nei tempi peggiori della Grande Depressione, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è di oltre il 50 per cento. La situazione, per tutto ciò, è insostenibile. Proprio dalla consapevolezza che la situazione non può perdurare nasce l’inasprimento continuo dei tassi di interesse in Spagna.
In un certo senso, non interessa davvero in che modo la penisola iberica sia arrivata a questo punto, ma – per quel che può valere – il caso della Spagna non è conforme alla retorica morale così diffusa tra le autorità  europee, specialmente in Germania. La Spagna non è stata sregolata dal punto di vista fiscale: alla vigilia della crisi aveva un basso indebitamento e un’eccedenza di bilancio. Sfortunatamente, però, aveva anche un’enorme bolla immobiliare, una bolla dovuta in gran parte agli ingenti prestiti concessi dalle banche tedesche alle loro controparti spagnole. Quando la bolla è scoppiata, l’economia spagnola si è ritrovata a secco. I problemi fiscali della Spagna sono una conseguenza della sua depressione, non ne sono la causa. Manco a dirlo, la cura prescritta da Berlino e Francoforte è stata una sola: sì, avete indovinato, un ulteriore irrigidimento dell’austerità  fiscale.
Questa – se vogliamo dirla tutta e con schiettezza – è pura follia. L’Europa aveva sperimentato per molti anni inflessibili programmi di austerità , con risultati che qualsiasi studente di storia avrebbe potuto anticipare: simili programmi spingono le economie depresse ancor più a fondo nella depressione. E dato che quando gli investitori devono valutare la capacità  di un paese di ripagare il proprio debito ne studiano accuratamente la situazione economica, i programmi di austerità  non hanno mai funzionato neppure per diminuire i tassi di interesse.
Qual è l’alternativa? Beh, negli anni Trenta – un’epoca che la moderna Europa sta iniziando a ricalcare in modo sempre più fedele – il requisito basilare per la ripresa fu uscire dal sistema aureo (gold standard). Oggi una mossa equivalente sarebbe uscire dall’euro e ripristinare le valute nazionali. Si potrebbe affermare che ciò è inconcepibile, e senza dubbio si tratterebbe di una soluzione dirompente, dalle enormi ripercussioni sia a livello economico sia politico. D’altro canto, a essere davvero inconcepibile è l’idea di poter continuare lungo questa strada e imporre un’austerità  sempre più intransigente a paesi che già  soffrono per una disoccupazione a livelli da Grande Depressione.
Se dunque i leader europei volessero veramente salvare l’euro, starebbero cercando una valida alternativa. L’alternativa possibile sta assumendo di fatto una forma molto chiara: il continente europeo ha bisogno di politiche monetarie più espansive, sotto forma di una disponibilità  – una disponibilità  dichiarata – da parte della Banca centrale europea ad accettare un’inflazione un po’ più alta. Ma l’Europa ha bisogno anche di più espansive politiche fiscali, sotto forma di sistemi di compensazione tra i budget tedeschi e quelli di paesi in difficoltà  come la Spagna e altre nazioni inguaiate della periferia europea. Anche così, con queste politiche, le nazioni della periferia d’Europa dovranno affrontare anni di difficoltà . Ma, quanto meno, qualche speranza di ripresa potrebbe esserci.
Ciò a cui stiamo assistendo, invece, è una totale mancanza di flessibilità . A marzo i leader europei hanno firmato il fiscal pact, un’intesa che di fatto trova la risposta a ogni tipo di problema soltanto nell’austerità  fiscale. Nel frattempo, gli alti funzionari della Banca centrale si piccano di sottolineare che al minimo segnale di un aumento dell’inflazione la Banca alzerà  i tassi.
In conclusione, quindi, è davvero difficile sottrarsi a un certo senso di disperazione. Invece di ammettere di aver sbagliato, i leader europei sembrano determinati a spingere l’economia nel baratro – e con essa le loro società . E a pagarne le conseguenze sarà  il mondo intero.
(Traduzione di Anna Bissanti)


Related Articles

Se in azienda comandassero le donne

Loading

NEL MERCATO DEL LAVORO CHE CAMBIA EMERGONO NUOVE POTENZIALITà€. Le dirigenti sono salite del 15% in due anni, mentre gli uomini sono diminuiti. Hanno una visione allargata ai bisogni della società   e dialogano più facilmente con il pubblico, mentre gli uomini sono legati a settori molto tradizionali. Così Al nord, ma anche al sud d’Italia

Licenziamenti più facili e lotta all’assenteismo Emergenze, solo il 112

Loading

Le misure. Con la riforma arriva il telelavoro nella Pubblica amministrazione Semplificate le pratiche per i cantieri

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment